Corriere della Sera

Il romanzo di Lydie Salvayre, premio Goncourt, edito da L’Asino d’oro Nel vortice della Spagna in fiamme Dentro le pagine anche Bernanos

- Di Carlo Baroni

Bisognava esserci. Dentro quell’attimo di Storia. Che l’aveva presa per mano e poi tirata per i capelli. Lei ne era affascinat­a e inorridita. Sicura di stare dalla parte giusta. Perché le donne certe cose non hanno bisogno che qualcuno gliele spieghi. Montse ha quindici anni, il suo Paese secoli di storia. Che non capisci davvero come possano essere passati così. Senza imparare cos’è giusto e dov’è il male. La Spagna della Guerra civile. Con il mondo che si diverte a buttarle la benzina addosso. Ma a farsi del male ci riusciva benissimo da sola.

Non piangere (pubblicato da L’asino d’oro) è più del titolo di un libro che ha vinto anche il premio Goncourt due anni fa. Non piangere è un invito a resistere, a tirar su col naso, senza far sgorgare le lacrime.

Lydie Salvayre, nata in Francia nel 1948, figlia di rifugiati spagnoli sfuggiti al franchismo, l’ha scritto con le dita di chi ha toccato la tragedia anche senza esserci. E, per un momento, intravisto anche un sogno. Quello di un mondo possibile. Tutti uguali e avanti senza invidie. Dove gli ultimi non diventano primi solo perché non c’è una classifica e «un vincitore vale quanto un vinto».

Montse che racconta quello che è stato e anche quello che avrebbe potuto essere. Adesso che di anni ne ha novanta e le parole sono un gramelot di castiglian­o-catalano-francese che per tradurlo non ti basta Google. Lei che ha seguito un fratello fatto di un ingredient­e solo: e allora o prenderlo o lasciarlo. Un ragazzo-uomo impastato di onestà e ideali che a dirlo adesso ti danno dell’ingenuo ma anche allora non era facile. Lui che crede nel vento nuovo. Così tanto da far piangere i genitori. La sua gente che gli va dietro, ma solo per un po’. Poi vincono quelli che parlano di buon senso, realismo e piedi per terra. E guarda caso sono anche i figli dei padroni.

I padri e le madri stanno con i franchisti, le tradizioni e il passato. Che detto così non sembra neanche tanto brutto. Se non fosse che agli altri sparano un colpo in testa o li finiscono a badilate. E non importa se sono soltanto poveri contadini che una volta nella vita si sono fatti una domanda e si sono dati la risposta giusta. I falangisti che hanno figli che, magari, vanno dall’altra parte. Ma di rivoluzion­ario hanno solo il colore fulvo dei capelli.

José sa di stare sulla via giusta, ma i dubbi gli vengono lo stesso. Quasi come a Georges Bernanos che in questo libro si mette dentro le pagine. Lui cattolico che non può chiudere gli occhi davanti a un certo clero che benedice i massacri dei franchisti. E non vuol dire Nata in Francia nel 1948, è figlia di rifugiati spagnoli sfuggiti al franchismo

tradire la sua parte ma dire le cose come stanno. Perché anche nelle guerre il bene e il male non hanno le casacche diverse ma è pur vero che da una parte o l’altra ti devi pure schierare.

Montse ha quindici anni, è come un quaderno bianco e puoi scriverci sopra quello che vuoi. Ma lei ha il diritto di strappare le pagine che non le vanno. Quelle di Non piangere hanno il pregio di essere scritte con arguzia, stile e intelligen­za. Che tante righe ti lasciano lì a tornare indietro con il dito a rileggere. C’è tanto anche di noi, delle nostre vigliacche­rie, degli impeti di coraggio, le omertà e le verità dette in faccia al mondo. E ti viene da pensare che la guerra di Spagna sia soltanto un palcosceni­co come un altro per raccontare una storia. Ma non è proprio così.

Gli anni dal 1936 al 1939 sono stati davvero un’altra cosa. E Montse una ragazza che ti porta per mano anche quando non sa bene che strada prendere.

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