Il killer aveva un complice
E in Germania un nuovo caso: rifugiato uccide una donna con un machete
Ali Sonboly, il diciottenne tedesco di origini iraniane che ha ucciso nove persone, preparava la strage di Monaco da almeno un anno. E aveva un complice: un sedicenne. È sospettato di aver «aiutato» il killer almeno nella parte «preparatoria» e di essere probabilmente a conoscenza del piano senza denunciarlo. Sempre ieri in Germania un rifugiato ha ucciso una donna con un machete.
DALLA NOSTRA INVIATA
Tre giorni dopo la strage di Monaco, le indagini risalgono al nome di un sedicenne afghano, che ieri sera è stato arrestato con l’accusa di aver saputo dei progetti omicidi di Ali Sonboly e di non aver fatto nulla per fermarlo. L’adolescente, conosciuto da Ali durante i suoi ricoveri psichiatrici, avrebbe aiutato il killer a creare il falso profilo Facebook con il quale ha attirato i ragazzi al Mc Donald’s, promettendo panini scontati.
È l’ultimo tassello, in ordine di tempo, di questa storia, che già ieri contava molti nuovi dettagli. Per esempio il fatto che l’aggressore avesse trascorso molti anni a covare risentimento, e uno intero a pianificare l’attacco. Ali ha passato gli ultimi mesi della sua vita a ritagliare articoli sui blitz della polizia, a raccogliere materiale su studenti autori di vecchie stragi, a documentarsi leggendo libri «a tema». Per dirla con il capo della polizia bavarese Robert Heimberger: «Aveva la mente completamente occupata dalla sua furia». Preparava la strage.
Per farlo, l’anno scorso Ali è perfino andato due giorni a Winnenden, vicino a Stoccarda, scenario della carneficina del 2009: l’ex studente Tim Kretshmer — poi descritto come depresso, solitario, frustrato — sparò e uccise 15 persone nella sua ex scuola. Ali all’epoca era undicenne, nel tempo ha fatto di Kretshmer il suo idolo, si è identificato in lui, stesse frustrazioni, stesso isolamento dal gruppo. E un anno fa — dopo aver passato due mesi in un ospedale psichiatrico — è andato a Winnenden in «pellegrinaggio».
Altro scenario, altro punto di riferimento: il killer di estrema destra Anders Breivik e la sua scia di morte a Utoya, in Norvegia. Era il 2001, le vittime furono 77 e si scoprì poi che Breivik aveva scritto un «manifesto»: più di 1500 pagine per descrivere la sua ideologia e il suo piano d’azione. La polizia tedesca adesso rivela che anche Ali aveva in casa un suo «manifesto»: un documento realizzato da lui del quale non è stato diffuso alcun contenuto, nuovo punto in comune con l’autore della strage di Utoya. Del resto già due giorni fa era stato ritenuto «evidente» che si fosse ispirato a Breivik: l’attacco di Ali è avvenuto nel quinto anniversario di Utoya; una settimana fa Monaco aveva inaugurato un monumento a quei 77 caduti; sul profilo WhatsApp di Ali la fotografia usata sarebbe dello stragista norvegese.
Molto potranno aggiungere le analisi del computer che, secondo la polizia, Ali usava spessissimo per videogiochi violenti e che, soprattutto, ha usato per comprare la Glock con la quale l’altro giorno ha sparato al centro commerciale. Si è scoperto che era un’arma dismessa e modificata per essere usata durante spettacoli teatrali e che però ha subito una seconda trasformazione che ne ha recuperato l’utilizzo originario. Alla fine qualcuno contattato via Internet, nella rete nascosta del «dark web», l’ha venduta ad Ali assieme a più di 300 proiettili che sono stati trovati nel suo zainetto. La pistola aveva due caricatori da 17 colpi. Lungo il percorso dell’attacco sono stati raccolti 58 bossoli: il ragazzo che ha spaventato il mondo per ore ne ha sparati 57, uno era invece di un poliziotto che ha fatto fuoco, mancandolo, prima che fosse Ali stesso a spararsi alla tempia.
Il procuratore Thomas Steinkraus-Kock dice che «le vittime non sono state scelte», né per età né per nazionalità, e tace ogni dettaglio sull’ossessione di Ali riguardo al bullismo. «Sono stato vittima dei bulli per sette anni» aveva urlato sparando. Ma l’unico episodio agli atti è un’aggressione denunciata da lui stesso nel 2012: gli autori furono tre ragazzini suoi compagni di scuola che devono ancora essere interrogati. La loro vita, ora lo sanno, in questi quattro anni è stata a rischio.