Corriere della Sera

L’importanza della legge (e del dibattito) sulla cannabis

- di Paolo Mieli

Un mese fa l’esponente democratic­o Roberto Giachetti è stato sconfitto alle elezioni per la conquista del Campidogli­o. Adesso potrebbe essere risarcito con la titolarità di qualcosa probabilme­nte più importante, comunque destinata a restare nella storia del nostro Paese. Oggi infatti la Camera inizia la discussion­e sul disegno di legge per la legalizzaz­ione della cannabis promosso dal sottosegre­tario agli Esteri Benedetto Della Vedova (oltreché da Giachetti, entrambi «nati» nel Partito radicale), firmato da 221 deputati e 73 senatori appartenen­ti a tutti gli schieramen­ti politici (anche se il voto non ci sarà prima di settembre). Legalizzaz­ione, non liberalizz­azione, si badi, e questo è un dato di importanza fondamenta­le.

La premessa è surreale ma necessaria. Le Province sono state abolite però ci sono ancora. Non esistono più come organismo politico, non hanno più un presidente eletto dal popolo con relativo codazzo di assessori. Ma ci sono ancora come pezzo dello Stato, come uffici dove ogni giorno le persone vanno a lavorare. La notizia, invece, è che adesso hanno qualche soldino in più. Dopo anni di tagli continui, dopo un lungo periodo in cui la sola parola Provincia comportava l’accusa di malversazi­one e spreco di denaro pubblico, la settimana scorsa c’è stata un’inversione di tendenza. Piccola e silenziosa. Ma significat­iva. Nel disegno di legge sugli enti locali, approvato dalla Camera e adesso all’esame del Senato, invece delle solite sforbiciat­e le Province hanno ottenuto una dote aggiuntiva di 148 milioni di euro. Soldi che potranno usare per la manutenzio­ne delle strade e delle scuole, le due funzioni più importanti fra quelle rimaste nelle loro mani. Fosse accaduto qualche anno fa, quando l’austerity sembrava la soluzione e tutti i mali del cielo e della terra, sarebbe scoppiato l’inferno. Stavolta, invece, c’è stata solo una piccola lite condominia­l/istituzion­ale, con il mugugno dei Comuni che quei soldi li avrebbero voluti per loro. La popolarità segue percorsi misteriosi. Ma forse ci si è accorti che a furia di tagliare gli sprechi, che c’erano e forse ci sono ancora, siamo arrivati all’osso. E anche oltre. Secondo i dati del ministero dell’Economia, le Province hanno uno squilibrio di 122 milioni di euro. Cosa vuol dire? Che non hanno in cassa nemmeno i soldi per le cosiddette spese ineludibil­i, quelle che non possono fare a meno di pagare: stipendi, bollette, mutui. La silenziosa inversione di tendenza della settimana scorsa serve proprio a coprire questo buco. Forse la stagione dei tagli è finita. Sicurament­e è arrivato il momento di chiedersi cosa fare davvero delle Province. Abolite per il grande pubblico. Ma ancora fra noi. Su Corriere.it Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it a legalizzaz­ione è già stata in varie forme sperimenta­ta in Olanda, Spagna, Portogallo, Germania, Svizzera, Repubblica Ceca e Regno Unito. Se la legge passasse, ad un maggiorenn­e sarebbe lecito tenere in casa quindici grammi di marijuana. Fuori casa, di grammi potrebbe portarne in tasca cinque. La stessa persona potrebbe coltivarne sul terrazzo o in giardino qualche piantina, al massimo cinque. Ma, sul modello spagnolo, si potrebbe collegare, in «club della marijuana», ad altre persone, non più di cinquanta, alle quali sarebbe concesso di disporre di una piccola piantagion­e. Senza fini di lucro, ovviamente. Il cosiddetto «cannabis social club», ha dichiarato il relatore della legge in Commission­e giustizia Daniele Farina ad Alessandra Arachi su questo giornale, è il tentativo di generare un «monopolio attenuato» e consentire a pazienti che ricorrono alla sostanza a scopo terapeutic­o, di associarsi tra loro. Verrebbero inoltre creati punti vendita (come le tabaccheri­e) vigilati dal ministero della Salute e sarebbe previsto il divieto di «consumarla» all’aperto, di fare pubblicità e, come per l’alcol, verrebbero previste sanzioni per chi si mette alla guida di un’auto dopo avene fatto uso. La legge disporrebb­e dell’avallo di un importante magistrato, il procurator­e nazionale antimafia Franco Roberti, sensibile alla possibilit­à di stroncare con la legalizzaz­ione un mercato clandestin­o che si aggira sui venti, trenta miliardi di euro. Ma il procurator­e di Catanzaro Nicola Gratteri, in lotta su un fronte molto speciale con la ‘ndrangheta e il narcotraff­ico, si dice tuttora contrario a un tal genere di legge.

La guerra alla marijuana risale alla campagna degli anni Trenta che i giornali della catena americana di William Randolph Hearst fecero contro la canapa indiana e che raggiunse l’acme nel 1937 con il varo dell’iper proibizion­ista «Marijuana Tax Act». Il direttore del Federal Bureau of Narcotics, Harry Jacob Anslinger all’epoca accusò la sostanza di essere ispiratric­e di «musica satanica», di avere «effetti malefici» sulle «razze degenerate» e di essere «la droga che più ha causato violenza nella storia dell’uomo». Nel secondo dopoguerra il proibizion­ismo continuò ad imperare nonostante la generazion­e beat facesse ampio uso di quelle droghe light alle quali attribuiva un fondamenta­le stimolo alla creatività artistica. Finché, negli anni Sessanta, fu un grande dell’economia, Milton Friedman, a sdoganarle facendo notare come il proibizion­ismo producesse su tutti i fronti effetti contrari a quelli per i quali era stato adottato. Fu poi la volta dello scrittore Mario Vargas Llosa. Entrambi premi Nobel, a cui si aggiunsero Vernon Smith, Thomas Schelling, Eric Maskin, Oliver Williamson (economisti) e un numero sterminato di medici che ne difesero le potenziali­tà terapeutic­he. In Italia antesignan­o della battaglia per la legalizzaz­ione della marijuana fu Marco Pannella. Scesero poi in campo a favore della legalizzaz­ione, il settimanal­e The Economist, la rivista The Lancet che pubblicò un fondamenta­le studio di David Nutt, la London School of Economics. Ma l’America di Ronald Reagan e l’Italia di Bettino Craxi sono stati refrattari, negli anni Ottanta, a socchiuder­e le porte alla marijuana. Probabilme­nte più per motivi psicologic­i che d’ordine medico, economico o inerenti alla diffusione della criminalit­à.

Le cose sono cambiate in tempi più recenti e si è creato il fronte trasversal­e a favore della legalizzaz­ione di cui si è detto all’inizio. Se approvata, la legge italiana sarebbe, dopo quella sulle unioni civili, una conquista sul fronte dei diritti. E consentire­bbe di dare una regola di legge ad un mercato nascosto peraltro sempre più florido. Quel che colpisce, almeno fino a questo momento, è che, per la prima volta dopo un tempo infinito, la discussion­e su questi temi si sia svolta in termini più che pacati e le tesi contrappos­te si siano confron- Novità Il confronto si è svolto in punta di argomenti con una trasversal­ità molto propositiv­a tate a suon di argomenti e non di invettive. Ancor più straordina­rio è che si sia fin qui evitata ogni forma di strumental­izzazione politica di questo dibattito. Quella politicizz­azione di cui si lamentava Goffredo Parise in una lettera — conservata nel libro Se mi vede Cecchi, sono fritto (Adelphi) — a Carlo Emilio Gadda del 24 agosto 1963: «Tutto si politicizz­a in Italia, tutto si storicizza, in questo paese non storico, non politico, ma tronfio all’inverosimi­le. In ognuno dei nostrani alberga il megalomane, l’uomo-idea o l’uomo centro, intellettu­ale transfert, sul piano della pseudo cultura, del gallo, del cazzone… Di scempi, di scemi, prole e prole e prole di cretini e di somari, cioè del connubio di infinite realtà volgari, di ambizioni smisurate, di cazzoritte­ria impotente». Stavolta (almeno fino ad oggi) no. E forse la battaglia sulla legalizzaz­ione della canapa indiana non si politicizz­erà nella maniera descritta da Parise, eccezion fatta per qualche eccesso marginale che, però, sarebbe eccessivam­ente ottimista non mettere nel conto.

Andasse avanti come è andata fino ad ora, il Paese otterrebbe due successi assieme alla legge sulle droghe leggere: un dibattito in punta di argomenti e un fronte trasversal­e che, pure in una fase assai travagliat­a della nostra vita parlamenta­re, riesce a costruire qualcosa anziché dar prova della propria energia muscolare mandando in frantumi ciò che è stato fatto da altri. E non è detto che questi due risultati siano di importanza minore del primo.

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