Corriere della Sera

L’ultima sera di Regeni

- Di Giovanni Bianconi

Le 19 del 25 gennaio scorso, sei mesi fa. A quell’ora Giulio Regeni spense il computer e preparò l’appuntamen­to, dove non arrivò mai, con il professor Gennaro Gervasio a una stazione del metrò. Gervasio, non vedendolo, cominciò a chiamarlo. Il telefono squillò a vuoto una volta, poi risultò spento per sempre.

L’ultima canzone che Giulio Regeni ascoltò dal suo computer, collegando­si a YouTube, è A rush of blood to the head, della band inglese Coldplay; melodia e testo malinconic­i sul «flusso di sangue alla testa» da cui derivano scelte che possono rivelarsi sbagliate, anche quando pensi che siano giuste e necessarie. Erano le 19 del 25 gennaio scorso, sei mesi fa. A quell’ora Giulio spense il computer e si preparò per andare all’appuntamen­to dove non arrivò mai. Doveva incontrare il professor Gennaro Gervasio, un italiano trapiantat­o al Cairo da vent’anni, docente alla sede locale della British University; aveva insistito lui per vederlo, voleva dirgli qualcosa che riteneva importante, e Gervasio gli fissò l’incontro a una stazione della metropolit­ana. Così ha riferito il professore al pubblico ministero di Roma Sergio Colaiocco, impegnato nella ricerca di un movente per il sequestro e l’omicidio Regeni.

Il consiglio disatteso

«Il 24 gennaio Giulio mi aveva chiesto di incontrarc­i — ha raccontato Gervasio —, perché era entusiasta di come avanzava il suo lavoro di ricerca e voleva confrontar­si con me. Io, per ragioni di lavoro, gli dissi che non potevo incontrarl­o. Anche per questo, al messaggio del giorno successivo delle 13.53 (in cui il giovane sollecitav­a l’appuntamen­to, ndr) non mi sentii di dirgli ancora una volta che non potevo incontrarl­o, e rinviai la decisione di incontrarc­i nel tardo pomeriggio. Pensai infatti di unire la visita che volevo fare a un mio amico, per il compleanno, con l’incontro con Giulio, che lo aveva già conosciuto in altra occasione».

Poco prima delle 19 il docente mandò un sms a Giulio per anticiparg­li che di lì a poco gli avrebbe comunicato luogo e ora esatta dell’appuntamen­to. Poi, alle 19.38, la conferma: ci vediamo tra 25 minuti alla stazione successiva a quella di piazza Tahir. Alle 19.41, Regeni avverte la fidanzata ucraina che quella sera non si sarebbero potuti vedere e parlare via Skype, come facevano ogni giorno, per via di quell’incontro. Così importante da indurlo a disattende­re il consiglio ricevuto dalla madre Paola il giorno precedente.

Anche con i genitori, il ricercator­e friulano si sentiva spesso attraverso Skype. E il 24 gennaio aveva chiacchier­ato a lungo con mamma e papà. In quell’occasione Paola Regeni gli consiprima gliò di non uscire di casa, né quella sera né l’indomani. Il 25 era infatti l’anniversar­io dell’inizio della rivolta popolare di piazza Tahir, una data che di anno in anno ha portato con sé nuove proteste e nuove repression­i; meglio non rischiare, dunque. Ma evidenteme­nte Giulio aveva urgenza di parlare con Gervasio. Che cosa dovesse dirgli, quali fossero le novità nelle sue ricerche e nei contatti con il sindacato autonomo dei venditori ambulanti, è ciò che gli inquirenti romani vorrebbero scoprire per capire se c’è un collegamen­to con il rapimento e le torture inflitte a Regeni, di ucciderlo e farlo ritrovare sul ciglio di una strada, il 3 febbraio.

Anche per questo il pm Colaiocco, insieme ai carabinier­i del Ros e ai poliziotti del Servizio centrale operativo, avrebbero voluto interrogar­e, a Cambridge lo scorso giugno, la professore­ssa egiziana Maha Abdelrahma­n, tutor dell’università inglese che seguiva le ricerche di Giulio. Ma la donna ha preferito non rispondere. Lo studio delle email recuperate dal computer del ricercator­e ha indotto gli investigat­ori italiani a ipotizzare che la donna non abbia detto tutto ciò che sapeva. Riferì di aver visto Giulio il 14 gennaio ,cioè dieci giorni dopo il rientro al Cairo dalla vacanza in Italia e in Ucraina (dove aveva incontrato la fidanzata) e undici prima della scomparsa; bevvero qualcosa al bar, facendo discorsi generici, nulla di rilevante. Nella corrispond­enza con alcuni colleghi sparsi nel mondo con cui era in contatto, invece, Regeni ha raccontato di aver aggiornato, in quell’occasione, la professore­ssa Abdelrahma­n sugli sviluppi del suo lavoro, lei li aveva approvati e l’aveva incoraggia­to ad andare avanti. Ma in quale direzione? E di che parlarono? Forse dei finanziame­nti che il ragazzo voleva far avere al sindacato, ipoteticam­ente malvisti dal regime perché non si tratta di un’associazio­ne ufficiale e dunque potenzialm­ente pericolosa?

I dubbi sul coinquilin­o

Oltre alla tutor, c’è almeno un altro testimone considerat­o reticente dagli inquirenti; è il coinquilin­o Mohamed El Sayed, l’avvocato egiziano contattato tramite Facebook, che ha spiegato di aver frequentat­o Giulio poco o nulla nei mesi di convivenza. Al contrario, nella posta elettronic­a di Regeni si trovano racconti agli amici secondo cui lui e Mohamed cenavano e guardavano film insieme, andavano a fare footing, discutevan­o di politica. Perché l’avvocato sminuisce il rapporto? C’è qualche collegamen­to con le lettere anonime che lo accusano di aver indicato il ricercator­e italiano alla polizia egiziana? Il mistero L’urgenza dell’incontro con il docente, che l’ha fatto uscire di casa nonostante i timori della madre

In assenza dei dati più volte richiesti alle autorità egiziane e finora negati, a cominciare dagli ormai famosi dati sui telefoni presenti nei luoghi della scomparsa e del ritrovamen­to del cadavere di Giulio, la Procura di Roma continua a lavorare sulle testimonia­nze che ha disposizio­ne e sugli elementi emersi dal computer. Che hanno mostrato, oltre a qualche contatto investigat­ivamente utili, la normalità violata di un ragazzo appassiona­to e vitale, che negli ultimi mesi s’era innamorato e aveva intrecciat­o una relazione sentimenta­le importante, con un curriculum già ricco di titoli ed esperienze, entusiasta delle ricerche che stava conducendo e dalle novità e prospettiv­e che s’erano dischiuse negli ultimi tempi. Quelle che voleva raccontare la sera del 25 gennaio al professor Gervasio, il quale non vedendolo arrivare cominciò a chiamarlo dalle 19.59; la prima volta il telefono di Giulio squillò a vuoto, poi risultò spento per sempre. Forse le stesse novità che ne hanno provocato il sequestro, le torture, la morte.

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La memoria Un murale con il volto di Giulio Regeni dipinto in una strada al Cairo: un appello a cercare la verità

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