Corriere della Sera

Come è difficile tornare in Europa

«Una vendetta dei francesi per la Brexit» «No, solo normali controlli di sicurezza»

- di Beppe Severgnini con Vulpio

Lo chiede la storia, lo impone la logica: la casa comune si protegge insieme.

Ancora alle dieci di ieri sera, all’Eastern Docks, il primo crocevia del porto di Dover, le code di auto, camion, pullman e autotreni erano lunghe chilometri. E la gente, stanca e rassegnata, più che arrabbiata, procedeva con i propri veicoli a passo d’uomo. La testa sul cellulare o davanti alla tv portatile, a seguire le ultime notizie, o a chiamare a casa — «Sì, sono in ritardo di 22 ore, ma non preoccupat­evi» —, e ogni tanto uno sguardo alla strada, per capire di quanti metri si potesse avanzare in direzione del porto.

Famiglie e camionisti

Dopo una intera giornata bloccati in auto, i due bambini di una famiglia svedese sono i più stanchi e i più nervosi. «Non vogliono venire più con noi — dicono i loro genitori —, gli avevamo promesso una vacanza in Francia, nella Loira, ma loro sono già per tornare a casa». I soccorsi, con i viveri lanciati dagli elicotteri e l’acqua distribuit­a in continuazi­one all’ingresso del porto, non sono bastati ad alleviare il disagio e il pessimismo dei viaggiator­i. «Chissà quando ci imbarchere­mo», dicevano ancora in tarda sera, quando le code erano diventate «soltanto» di pochi chilometri. Sorride sarcastico Helmut, che guida un autoartico­lato della Schmidt Heilbronn. Dice: «Guarda cosa c’è scritto sul mio autotreno». Leggiamo: «Le migliori soluzioni in logistica di massa». E lui, ancora più divertito: «E ti pare una buona soluzione logistica quella di oggi? Io non so se è per il terrorismo. Se è così, d’accordo, i controlli vanno fatti. Ma non lo sapevano qual è la mole del traffico in entrata e in uscita da Dover? E non potevano aumentare il numero dei poliziotti? Però può anche essere che adesso i francesi vogliano lanciare un messaggio agli inglesi, dopo la Brexit».

L’irlandese saggio

Helmut non è l’unico, nella coda chilometri­ca, a pensarla in questo modo. George, della «Millius Premium Hay», viene dall’Irlanda e nel suo camion trasporta undici bellissimi cavalli, destinazio­ne Belgio. George dice che è colpa dell’allerta terrorismo, ma anche della scelta del Regno Unito di uscire dalla Ue. «Adesso sarà un problema sempre maggiore — afferma — perché se le merci possono circolare liberament­e e le persone no, ogni controllo, da una parte e dall’altra, sarà strettissi­mo, super burocratic­o, e questo creerà nervosiagg­uato

smo e indisporrà le persone». Non dev’essere molto diverso da questo — nervosismo, indisposiz­ione — il punto di vista dei cavalli trasportat­i da George. «Sono lì dentro da dodici ore — dice il camionista — e puoi vedere bene come scalciano, oggi ho temuto per loro. Be’, non sono un entusiasta di come va l’Europa, però trovo sbagliato che si spappoli proprio adesso, con i fanatici islamisti che non vedono l’ora di poterci riportare ai tempi in cui in Europa erano tutti contro tutti e si facevano solo guerre e ritorsioni». George ha un livello di consapevol­ezza «politica» che lo porta a ragionare in questo modo, anche mentre impreca contro la coda e si preoccupa dei suoi cavalli, ma già nel porto di Calais, all’imbarco per Dover, questa «maturità» di George l’irlandese sembrava un ricordo, qualcosa diventato improvvisa­mente fuori moda.

Effetto Brexit

Con la richiesta dei passaporti, due volte, da parte della polizia francese e di quella inglese, e il personale francese del porto che sfotteva, ricambiato, quello inglese, sulle code e i controlli di Dover, sembrava ben chiaro che l’Europa, la Ue, aveva già raggiunto il capolinea. Eppure, sbarcati a Dover, il cartello più grande che accoglie i viaggiator­i è quello con la bandiera azzurra e le stelle della Ue, ma, soprattutt­o, è un cartello che dice: «Porto di Dover. Cofinanzia­to dalla Ue». Cioè soldi, tanti, che soprattutt­o negli ultimi due anni la Ue ha dato al Regno Unito, anche per l’ampliament­o di una grande opera come questa.

I viaggiator­i in coda, lo sanno. E non sono pochi quelli che se la prendono con gli inglesi. Persino un gallese come John, che guida il suo camion verso l’Olanda. «Io l’ho sempre detto — urla dal finestrino — che la Brexit ci avrebbe creato un sacco di problemi. Bisognava negoziare, non scappare subito dopo il voto del referendum». Per non dire di ciò che pensano polacchi, lituani, estoni, serbi, romeni, slovacchi, la stragrande maggioranz­a dei camionisti, alla guida di bestioni rimasti intrappola­ti nella lunga fila di veicoli che arriva fino in città e la attraversa chissà fino a dove.

I dipendenti del porto

Anche il personale del porto è stanco e facilmente irritabile, però si prodiga nella distribuzi­one di acqua e merendine, cerca come può di dare risposte rassicuran­ti. «Il terrorismo». «I poliziotti francesi eccessivam­ente precisi», «La intensità del traffico estivo». Però è evidente a tutti che questa è stata una giornata molto particolar­e, eccezional­e. «Non è mai stato così — dice Willy, che guida un pullman di turisti diretto a Madrid —. Non ci vengano a dire che tutto ha funzionato come sempre, perché non è vero». E anche il suo collega alla guida di un autotreno che trasporta quattro nuovi trattori della New Holland ed è diretto ad Amsterdam dice la stessa cosa: «Qui si stanno facendo dispetti a vicenda, anche se la questione del terrorismo è seria. Ma così ci danneggiam­o da soli, è un effetto boomerang quello che si sta producendo».

Si fa buio, anche le voci della gente si affievolis­cono. I bambini dormono. E anche i cavalli di George. Si sente solo il verso stridulo dei gabbiani. La coda di auto si riduce a due ore, poi a un’ora sola. «Troppo. Siamo in Europa, no?», dice Mikhail, serbo. Lo dice lui, che nella Ue ancora non è entrato.

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(Jim Bennett/AFP) In coda Le automobili incolonnat­e sull’autostrada che porta a Dover. A causa dell’aumento dei controlli di sicurezza fatti dalla polizia francese all’imbarco per i traghetti, le operazioni hanno accumulato ritardi anche di 15 ore
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