I pizzini d’alta gamma di Debbie, la cattiva di turno
Avvilente come la quarta stagione di
House of Cards — no, peggio — prosegue questa fase di convention elettorali. Anche qui c’è uno scandalo con hackeraggi, anche qui ci sono donne discusse. Forse è un altro traguardo della parità di genere — va raggiunta nel bene e nel male, via — che le cattive di questa storia siano due femmine. La beneficiaria delle manovre scorrette, Hillary Clinton. E la cattiva ufficiale/attuale capra espiatoria (certe espressioni al femminile suonano male, ammettiamolo) Debbie Wasserman Schultz. Che si autodefinisce «madre, moglie, tifosa dei Gators»; e che è presidente del Democratic National Committee, hillarista da sempre, deputata della Florida detestata dai progressisti di ogni forma e colore. Quelli che vorrebbero arginare le banche: è finanziata dalle finanziarie che prestano ai poveri prelevando dallo stipendio. Quelli per la legalizzazione della marijuana medica; è grande amica di Big Pharma e nel suo stato ha aiutato a far fallire un referendum. Quelli che, santa pazienza, si sa che il Dnc tifa Clinton, ma le dritte di infimo ordine per mettere in difficoltà Bernie Sanders andavano evitate, o almeno comunicate a voce. Per questo, si è deciso, Wasserman Schultz non presiederà le sedute a Philadelphia. Per questo Bernie, arruolato nella campagna anti Trump — non in quella pro Hillary, per ora, si aspetta il discorso di stasera per capire la sua apertura di credito — ieri mattina, in tv, ha chiesto le sue dimissioni. Si è detto «deluso» dalle rivelazioni, «ma non scioccato». Insomma «noi lo dicevamo da sei mesi». Da quando — tra l’altro — la deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard si era dimessa dal Dnc; per sostenere apertamente Sanders, ma soprattutto per denunciare la strategia di Wasserman Schultz. Che aveva deciso di organizzare solo sei dibattiti tra i candidati democratici alle primarie. Per non mettere in difficoltà Hillary; limitando le possibili attività di disturbo degli avversari, programmandoli nel weekend quando pochi li avrebbero guardati (è stato anche quello un errore, forse; nei dibattiti, Clinton non è andata male; è apparsa inevitabilmente meno sincera di Bernie, ma molto più articolata). E ora lascerà il posto, a fine convention. In altri tempi, sarebbe già stata fuori. Nel suo caso, molti dicono sappia molto. In questo periodo ha mandato pizzini d’alta gamma, genere «io lavoro per il presidente Obama». E Obama l’ha molto pubblicamente appoggiata, un mese fa, nelle primarie del suo collegio a Fort Lauderdale; nonostante Sanders, già allora, in cambio dell’endorsement a Hillary chiedesse la sua testa. E Clinton, sabato mattina, con lo scandalo DncLeaks appena esploso, l’ha accolta sul palco di Miami dove ha presentato il suo candidato vice Tim Kaine. Come finirà davvero, si saprà col voto del 30 agosto. Fort Lauderdale è la città più liberal della Florida; il suo avversario Tim Canova, giurista sanderista, sta raccogliendo più fondi di lei. E Bernie farà campagna per lui, e per vendicarsi, anche.