La strana alleanza: laici e filo-Erdogan sfilano a Istanbul per dire no al golpe
La manifestazione di ieri dell’opposizione politica al presidente Recep Tayyip Erdogan è stata un successo. Per chi l’ha voluta e per lo stesso capo di Stato. La simbolica piazza di Istanbul si è riempita e il clima è stato festoso, senza incidenti o provocazioni. I municipi governati dal principale partito d’opposizione hanno riempito centinaia di autobus in ogni angolo del Paese. Da noi, in sostanza, le avremmo chiamate «truppe cammellate». Più che una spontanea manifestazione di massa si è trattato quindi di un messaggio politico. Riuscito e significativo.
Il motto del raduno indetto dal Chp, i repubblicani custodi dell’eredità laica del padre della patria Kemal Atatürk, era «Darbelere hayir», no al colpo di Stato. Come nella notte del tentato golpe, il Chp ha abbandonato la sua tradizionale linea di appoggio alle Forze armate per difendere il sistema parlamentare dall’interferenza delle divise. In segno di gratitudine, il governo ha concesso piazza Taksim nonostante lo Stato di emergenza, ha prolungato la gratuità di autobus e traghetti cittadini per favorire l’afflusso dei manifestanti, ha garantito il servizio d’ordine e ha persino invitato i suoi sostenitori a partecipare. Il risultato è stato che, per la prima volta, in un raduno del partito più ferocemente laico della Turchia erano presenti donne velate accanto a mini top con l’ombelico a vista. Il colpo di Stato tentato dalla elitaria organizzazione islamista del predicatore Fethullah Gülen ha finito per unire religiosi e laici nella difesa della patria. Per anni alleato del presidente, l’Imam «calvinista» è arrivato allo scontro con il leader e solo i suoi seguaci adesso recriminano contro arresti e defenestrazioni. Il presidente Erdogan è diventato lo scudo del nazionalismo, secolare o islamico che sia, baluardo contro l’infiltrazione gülenista paragonata alla massoneria della nostra Loggia P2. Fino a quando la purga non andrà a colpire altri settori della società, altri gruppi di interesse e di potere, pochi contesteranno il giro di vite a cui Erdogan sta sottoponendo gli islamisti di Gülen.
Esclusa dall’intesa tra seguaci del presidente e laici repubblicani appare la sinistra filoeuropea che aveva guidato le proteste di Gezi Park e che, infatti, resta isolata voce critica su epurazioni e violazioni dei diritti umani. Almeno in questa fase, il presidente appare avere saldamente in mano il consenso della classe medio-bassa, secolare o religiosa, unita dal bisogno di stabilità e crescita economica. Erdogan promette colossali investimenti pubblici, un nuovo tunnel sotto il Bosforo e decine di dighe per l’energia idroelettrica. Lo può fare perché il debito pubblico è appena al 30% del Pil. Finché ci sarà lavoro per tutti, il conflitto per il velo o i capelli al vento potrà passare in secondo piano.