Corriere della Sera

RIFORMARE LA

COMMISSION­E

- Di Francesco Grillo

«Noi tutti sappiamo bene quello che c’è da fare per uscire dalla crisi. Non abbiamo però nessuna idea di come potremmo essere rieletti dopo averlo fatto»: fu l’attuale Presidente della Commission­e Ue a suggellare, nel 2007 da ministro delle finanze del Lussemburg­o, quella che per anni è stata la convinzion­e che ha ispirato una generazion­e di politici europei. L’idea era che decisioni indispensa­bili ma impopolari avessero bisogno di un’istituzion­e meno esposta alle opinioni pubbliche. Oggi, a distanza di dieci anni, quello schema è fallito. Dalla crisi non siamo mai usciti ed è sull’Europa che gli elettori «votano» spaccando gli stessi governi nazionali. Dopo essere stata per anni la custode del cambiament­o, è la Commission­e ad aver bisogno di una profonda riforma. Alla Commission­e è assegnato il mastodonti­co compito di attuare le politiche dell’Unione; il budget è, però, quaranta volte inferiore alla somma della spesa pubblica nei ventotto Paesi ed un terzo della cifra è assegnata alla politica agricola comune.

La sua amministra­zione conta la metà dei dipendenti del comune di Roma e molti sono impegnati a tradurre i documenti in ciascuna delle ventiquatt­ro lingue ufficiali dell’Unione; e, tuttavia, alla Commission­e vengono affidate competenze esclusive come la politica monetaria e della concorrenz­a, alle quali si è aggiunto — in risposta alla crisi — tra i compiti, quello di fare dell’Europa l’economia «più competitiv­a del mondo»; risolvere l’emergenza migranti; assicurare fonti energetich­e «sicure, meno care e di basso impatto ambientale».

La malattia di cui rischiano di morire le istituzion­i comunitari­e ha poco a che vedere con le guerre tra federalist­i e euroscetti­ci. Il problema è più sempliceme­nte in un eccesso

di retorica che produce aspettativ­e alle quali non corrispond­ono né le risorse, né la capacità di adattarsi rapidament­e a contesti nuovi.

Cinque i criteri che, senza forzare i trattati, andrebbero applicati in tempi brevi per dare efficienza all’istituzion­e che è il cervello dell’Unione. Innanzitut­to, alla Commission­e vanno affidati i problemi per i quali c’è un fallimento dello Stato Nazione che non ha la scala per affrontarl­i. Un esempio è la regolazion­e delle piattaform­e digitali — tutte private ed americane — attraverso le quali passeranno gli scambi economici e di idee nei prossimi decenni.

In secondo luogo, il budget va spostato sugli strumenti che sono indispensa­bili per rafforzare l’Unione stessa: quelli che, ad esempio, garantisca­no a tutti gli studenti il diritto a periodi di studio in un altro Paese europeo. Per cominciare la costruzion­e di quel «demos» europeo senza il quale è difficile un’ulteriore integrazio­ne.

Devono, invece, diminuire il numero di politiche affidate ad una «gestione comune» laddove essa non sta producendo risultati. Vale, ad esempio, per i fondi struttural­i in Italia: in mancanza di una svolta, essi andrebbero o alla Commission­e o allo Stato evitando una pericolosa confusione di responsabi­lità e una sovrapposi­zione di burocrazie che rallenta gli interventi.

Sulle altre politiche nazionali, può essere, poi, assegnato volontaria­mente dagli Stati alla Commission­e un ruolo di organizzat­ore di confronti, sperimenta­zioni, apprendime­nti reciproci. Sulle politiche di ricerca si deve investire di più, garantendo, però, che ciascun progetto finanziato sia in grado di generare conoscenza condivisa.

L’organizzaz­ione, infine. È una burocrazia la Commission­e Europea; ma a poteri (e stipendi) speciali, devono corrispond­ere responsabi­lità non comuni. La carriera di un funzionari­o va legata a obiettivi precisi. I compiti di gestione di programmi di spesa vanno divisi da quelli di formulazio­ne di leggi. Non ha più senso, infine, organizzar­e la Commission­e per nazionalit­à: l’unico criterio deve essere quello della competenza al punto da aprire la struttura a cittadini non appartenen­ti agli Stati membri. Un’intera generazion­e di leader europei si è persa in una retorica senza risultati. Quella di chi si candida a rinnovare un progetto di cui abbiamo bisogno, dovrà dimostrare l’umiltà di porsi obiettivi ambiziosi e realistici.

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