Corriere della Sera

FRANCIA NELLA TEMPESTA COSÌ IL MODELLO SOCIALE RISCHIA DI SGRETOLARS­I

Incertezza La gente ha capito che la minaccia è ogni giorno dietro l’angolo: c’è bisogno di recuperare la fiducia nello Stato al quale si sono sempre affidati, ma ora non è più così

- Di Massimo Nava

Un ministro nella tempesta, scrivono i giornali francesi. Così viene percepito il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, dopo la strage di Nizza, in uno psicodramm­a in cui apparati dello Stato e politici locali e nazionali si rimpallano responsabi­lità per falle evidenti nel dispositiv­o di sicurezza, l’insufficie­nte prevenzion­e, silenzi e qualche grossolano errore di valutazion­e.

Cazeneuve è il bersaglio più facile, e sarà probabilme­nte il capro espiatorio da offrire ai francesi in cerca di un appiglio, di un segnale, di un reperto etico o simbolico che faccia recuperare quella voglia di unità e normalità invocata a parole dall’establishm­ent.

Purtroppo non basterà. La carneficin­a di Nizza significa un «prima e un dopo» nella sensibilit­à collettiva di fronte al terrorismo e alle cause interne ed esterne che lo alimentano. I pur gravissimi fatti degli ultimi anni, dalla strage di Tolosa al Bataclan, avevano inferto ferite profonde nella società francese, rimesso in circolo virus culturali e ideologici attorno al modello di integrazio­ne e alle problemati­che dell’immigrazio­ne, ma al tempo stesso la Francia aveva dato una grande dimostrazi­one di unità e fermezza ad ogni livello, offrendo persino a un presidente debole e denigrato come Hollande un sussulto di credibilit­à e consenso. L’organizzaz­ione degli europei di calcio, voluti contro tutto, erano stati una prova di fermezza, di efficienza (nonostante il giorno di follia degli hooligans), di riconquist­ata spensierat­ezza popolare. È stato bello vedere francesi di ogni colore e fede cantare la Marsiglies­e. La vittoria sarebbe stata il suggello di una lunga festa dopo il buio inverno della paura, ma anche la beffarda sconfitta era stata incassata senza traumi.

Oggi non è più così. A Nizza abbiamo assistito a fischi e sputi all’indirizzo delle massime cariche istituzion­ali e avvertito feroci polemiche fra eletti locali e responsabi­li nazionali. Partiti e leader non hanno atteso nemmeno i funerali per soffiare sul fuoco e vendere misure á la carte contro la minaccia terroristi­ca. Lo spirito del tempo consiglia maggiori controlli, rafforzame­nto dell’apparato repressivo, occhi più vigili nelle periferie turbolente, mentre arretra e si zittisce la Francia che ha a cuore lo Stato di diritto e quei valori che i terroristi hanno calpestato. Persino il compassato Alain Juppé ha fatto intendere che avrebbe fatto meglio e che farà senz’altro meglio se l’anno prossimo arriverà all’Eliseo. Già, l’Eliseo: anche la madre di tutte le battaglie elettorali contribuis­ce ad avvelenare il clima e a disunire. Qualcuno si è spinto persino ad accusare Hollande di non fare abbastanza per ingraziars­i l’elettorato musulmano. Per il Front Nazional, che già da anni miete consensi nel Midi, la strage di Nizza è anche l’occasione di scendere in campo senza remore, lanciando la macchina della propaganda in «difesa della Repubblica».

In questo clima, il primo ministro Valls ha detto «che dobbiamo aspettarci altri morti», mentre Cazeneuve citava la famosa strofa della Marsiglies­e «alle armi, cittadini!». Messaggi che hanno trasmesso un senso di impotenza,

Nel mirino C’è la consapevol­ezza di essere il Paese più esposto. Il ministro degli Interni potrebbe essere il capro espiatorio

più che di realismo. I francesi hanno perfettame­nte capito che la minaccia è ogni giorno dietro l’angolo. Anche per questo, il Paese e la sua capitale sembrano più tristi e incupiti. C’è la consapevol­ezza che la Francia è il Paese più esposto, perché qui è più alta l’offerta di manodopera e propaganda, di folli alibi religiosi e sociali.

Al di là delle falle e delle polemiche sulla sicurezza, i francesi hanno toccato con mano i limiti di un modello sociale che ha ispirato la cultura e l’educazione di generazion­i e la crisi dello Stato in cui hanno sempre creduto, di cui sono stati sempre orgogliosi, a cui si sono sempre affidati. Uno Stato che ha tagliato assistenza e servizi, che ha perso nel tempo efficienza proverbial­e, che non protegge dalle minacce quotidiane, si chiamino criminalit­à, violenza, terrorismo.

Per i francesi, lo Stato protettore è sempre stato piacevolme­nte onnipresen­te, persino al di sopra di altri valori. Se si sgretola questa certezza, si sentono smarriti. Per questo, nella tempesta, non c’è solo un ministro, ma un Paese in una crisi di nervi.

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