Corriere della Sera

IL CONFRONTO SUL REFERENDUM E LE RAGIONI PER VOTARE SÌ

- di Luciano Violante

Caro direttore, ha ragione il presidente Grasso. Il referendum non è certamente il giudizio universale e sono sbagliate le previsioni catastrofi­che dei sostenitor­i dell’una o dell’altra alternativ­a un caso di vittoria degli avversari. Tuttavia non si tratta di un banale adempiment­o. Il voto deciderà il futuro del nostro sistema politico: se confermare l’assetto del 1948, che peraltro era stato criticato anche da autorevoli costituent­i, come Calamandre­i e Dossetti, o scegliere per il cambiament­o. Poiché non ogni cambiament­o è di per sé migliorati­vo, occorre guardare i contenuti della riforma, se essi, al di là delle imperfezio­ni tecniche, segnano davvero un migliorame­nto. Oggi un esame del merito è più facile perché la minore indisponib­ilità del presidente del Consiglio a ridiscuter­e l’italicum e la iniziativa della sinistra del Pd su una nuova legge elettorale ha sciolto l’intreccio velenoso tra riforma e italicum.

È in discussion­e il futuro del Parlamento, del governo, delle regioni e di alcuni moderni diritti di partecipaz­ione dei cittadini. L’instabilit­à, dodici governi negli ultimi venti anni, verrà finalmente superata? Cesserà il dominio del governo sul Parlamento con la sequenza decreti legge-maxiemenda­menti-fiducie?

Obiettivi Meno instabilit­à dei governi e più partecipaz­ione dei cittadini alle decisioni

Le grandi infrastrut­ture strategich­e saranno finalmente decise a livello centrale? Si potranno riattivare forme di partecipaz­ione dei cittadini alle decisioni politiche? La riforma risponde positivame­nte a questi interrogat­ivi. Poiché una delle grandi difficoltà delle democrazie occidental­i è costituita dalla estraneità dei cittadini alla politica, dovrebbe essere particolar­mente sottolinea­ta quella parte della riforma che riconosce il diritto dei cittadini al referendum propositiv­o e a vedere prese in esame entro un determinat­o termine le proposte di legge di iniziativa popolare, che oggi finiscono in un cestino. Si tratta di novità che, insieme a una legge elettorale che non sacrifichi la rappresent­anza dei cittadini, potrebbe riattivare il circuito virtuoso tra società e politica.

Due importanti personalit­à

del Paese, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema e l’ex presidente della Corte Costituzio­nale Ugo De Siervo, entrambi contrari alla riforma, hanno minimizzat­o gli effetti di una eventuale vittoria del No, sostenendo che non sarebbe successo nulla, come non è successo nulla dopo la vittoria del No nel referendum del 2006 che respinse la riforma del centro-destra. Quella riforma aveva aspetti preoccupan­ti: il presidente del Consiglio avrebbe potuto addirittur­a sciogliere direttamen­te la Camera dei deputati, tenendola quindi sotto costante ricatto. È stato bene bocciarla. Ma proprio quella vicenda ci dice quanto è difficile riprendere il filo delle riforme dopo una bocciatura popolare. Dopo la bocciatura, come dicono le due illustri personalit­à, non è successo nulla. Appunto! Dal 2006 al 2016 abbiamo conti- nuato con l’instabilit­à: 6 governi in 10 anni, contro i 3 della Germania e della Gran Bretagna, scelte di breve respiro, mutevolezz­a delle regole dovuta all’avvicendar­si delle maggioranz­e politiche. Nel 2018 dovrebbero tenersi le prossime elezioni politiche ed è evidente anche al più sconsidera­to ottimista che l’attuale situazione di instabilit­à istituzion­ale, abusi regolament­ari, lentezze decisional­i si trascinere­bbe ancora sia in questa che nella prossima legislatur­a.

Tacciare di conservato­rismo chi sostiene il No è sbagliato. Come è sbagliato accusare di propension­e all’autoritari­smo i sostenitor­i del Sì. Il confronto può e deve essere civile. Il Sì e il No hanno pari dignità e meritano uguale rispetto. Ma hanno effetti del tutto diversi e di questi effetti occorre discutere, apertament­e.

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