IL CONFRONTO SUL REFERENDUM E LE RAGIONI PER VOTARE SÌ
Caro direttore, ha ragione il presidente Grasso. Il referendum non è certamente il giudizio universale e sono sbagliate le previsioni catastrofiche dei sostenitori dell’una o dell’altra alternativa un caso di vittoria degli avversari. Tuttavia non si tratta di un banale adempimento. Il voto deciderà il futuro del nostro sistema politico: se confermare l’assetto del 1948, che peraltro era stato criticato anche da autorevoli costituenti, come Calamandrei e Dossetti, o scegliere per il cambiamento. Poiché non ogni cambiamento è di per sé migliorativo, occorre guardare i contenuti della riforma, se essi, al di là delle imperfezioni tecniche, segnano davvero un miglioramento. Oggi un esame del merito è più facile perché la minore indisponibilità del presidente del Consiglio a ridiscutere l’italicum e la iniziativa della sinistra del Pd su una nuova legge elettorale ha sciolto l’intreccio velenoso tra riforma e italicum.
È in discussione il futuro del Parlamento, del governo, delle regioni e di alcuni moderni diritti di partecipazione dei cittadini. L’instabilità, dodici governi negli ultimi venti anni, verrà finalmente superata? Cesserà il dominio del governo sul Parlamento con la sequenza decreti legge-maxiemendamenti-fiducie?
Obiettivi Meno instabilità dei governi e più partecipazione dei cittadini alle decisioni
Le grandi infrastrutture strategiche saranno finalmente decise a livello centrale? Si potranno riattivare forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche? La riforma risponde positivamente a questi interrogativi. Poiché una delle grandi difficoltà delle democrazie occidentali è costituita dalla estraneità dei cittadini alla politica, dovrebbe essere particolarmente sottolineata quella parte della riforma che riconosce il diritto dei cittadini al referendum propositivo e a vedere prese in esame entro un determinato termine le proposte di legge di iniziativa popolare, che oggi finiscono in un cestino. Si tratta di novità che, insieme a una legge elettorale che non sacrifichi la rappresentanza dei cittadini, potrebbe riattivare il circuito virtuoso tra società e politica.
Due importanti personalità
del Paese, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema e l’ex presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, entrambi contrari alla riforma, hanno minimizzato gli effetti di una eventuale vittoria del No, sostenendo che non sarebbe successo nulla, come non è successo nulla dopo la vittoria del No nel referendum del 2006 che respinse la riforma del centro-destra. Quella riforma aveva aspetti preoccupanti: il presidente del Consiglio avrebbe potuto addirittura sciogliere direttamente la Camera dei deputati, tenendola quindi sotto costante ricatto. È stato bene bocciarla. Ma proprio quella vicenda ci dice quanto è difficile riprendere il filo delle riforme dopo una bocciatura popolare. Dopo la bocciatura, come dicono le due illustri personalità, non è successo nulla. Appunto! Dal 2006 al 2016 abbiamo conti- nuato con l’instabilità: 6 governi in 10 anni, contro i 3 della Germania e della Gran Bretagna, scelte di breve respiro, mutevolezza delle regole dovuta all’avvicendarsi delle maggioranze politiche. Nel 2018 dovrebbero tenersi le prossime elezioni politiche ed è evidente anche al più sconsiderato ottimista che l’attuale situazione di instabilità istituzionale, abusi regolamentari, lentezze decisionali si trascinerebbe ancora sia in questa che nella prossima legislatura.
Tacciare di conservatorismo chi sostiene il No è sbagliato. Come è sbagliato accusare di propensione all’autoritarismo i sostenitori del Sì. Il confronto può e deve essere civile. Il Sì e il No hanno pari dignità e meritano uguale rispetto. Ma hanno effetti del tutto diversi e di questi effetti occorre discutere, apertamente.