La ragazzina con l’ermellino: l’altra dama di Leonardo da Vinci
Cecilia Gallerani fu l’amante quindicenne di Ludovico il Moro a Milano Ritratta per volere del duca, fu allontanata con il titolo di contessa di Saronno In edicola con il quotidiano il secondo volume della nuova serie dedicata ai protagonisti dell’arte
Il 26 giugno 1489 Bianca di Pietro Gallerani, figlia di un membro del consiglio segreto di Ludovico il Moro, fu data in sposa al maggiordomo di Alfonso D’Aragona. Il Ducato di Milano era nel pieno delle sue strategie matrimoniali: il 24 dicembre dell’anno precedente si erano sposati Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, mentre il 17 gennaio del 1491 si sarebbe celebrato il doppio matrimonio tra Ludovico il Moro con Beatrice d’Este e Anna Maria Sforza con Ercole I d’Este. Nozze sempre accompagnate da grandi feste, come quella del Paradiso organizzata da Leonardo al Castello, e anche da grandi amanti.
Per aver favorito il matrimonio di Bianca Gallerani, Ferrante re di Napoli (zio di Alfonso) ricompensò il Moro con l’Ordine dell’ermellino, al quale il dux di Milano aggiunse per sé un regalo particolare: si prese come amante la cugina quindicenne di Bianca, Cecilia
Gallerani (1473 ca - 1530).
Fatta giungere a corte, tra il 1488 e il 1490, il love-addicted sforzesco chiese al suo dipendente Leonardo da Vinci di ritrarla. Ne uscì La dama con
l’ermellino, il quadro conservato oggi al Muzeum Czartoryski di Cracovia e dal quale muove il racconto di Daniela Pizzagalli da oggi proposto nella collana L’arte come un
romanzo del «Corriere della
Sera».
Cecilia veste alla spagnola, porta perle nere al collo e stringe tra le mani quell’ermellino (che forse è una faina lombarda), animale che in greco si chiama galé e che rimanda sia al cognome della fanciulla sia all’Ordine ricevuto dal Moro che, per la cronaca, gli fu poi revocato a causa di screzi. Del resto, nulla di più lontano dai comportamenti del Moro era l’ermellino, così descritto da Leonardo: «L’ermellino per la sua moderanza non mangia se non una sola volta al dì, e prima si lascia pigliare dai cacciatori, che voler fuggire nell’infangata tana, per non maculare la sua gentilezza». Il contrario del Moro, paragonato all’animale solo dal suo poeta di corte, Bernardo Bellincioni, per mero servilismo: «Tutto ermellino è, se ben un nome ha nero».
Cecilia, che invece parlava latino e fece del canto e della poesia i suoi interessi, ebbe un figlio da Ludovico, di nome Cesare. Alla cui nascita, avvenuta dopo il matrimonio del Moro con Beatrice — che prediligeva andarsene a cavallo tra Vigevano e Abbiategrasso —, fu allontanata dalla corte. Non senza quei guadagni che le Olgettine invano reclamerebbero: ricevette il titolo di contessa di Saronno e un palazzo, in via Broletto! Inoltre, si mise subito a posto con un bel matrimonio: il 27 luglio 1492 sposò il conte Ludovico Carminati detto il Bergamino e con lui si trasferì a Villa Medici del Vascello in San Giovanni in Croce (Cremona), trasformandola in un cenacolo letterario. A dire il vero, come mi fece notare lo storico locale Sergio Lini, qui si trasferirono solo dopo un decennio passato dalle nozze tra casa Acerbi, nell’attuale via Matteotti di Crema, e Casa Ermenzoni in piazza San Pietro a Cremona. Fino a poco tempo fa, comunque, la bella villa-castello di San Giovanni in Croce era chiusa, lasciata andare e spogliata degli arredi (rubati pure i pilastrini della balconata). Grazie alle pubbliche amministrazioni, che l’hanno acquistata nel 2005, la villa fortificata è stata recuperata (con fondi Cariplo), riaperta e, trovandosi all’incrocio viario tra Cremona e Mantova, Brescia e Parma, è diventata adatta per quei «weekend culturali» che associano visite a buona cucina e bevute.
Cecilia spirò qui nel 1536 a 63 anni venendo sepolta nella vicina chiesa di San Zavedro. O, certamente, nella cappella Carminati di questa chiesa d’origine longobarda furono sepolti i due figli che ebbe dal Bergamino. La chiesa è diruta, messa solo in sicurezza: qui servirebbe un intervento.
Che le amicizie siano per loro natura indecifrabili è noto a tutti. Sta di fatto che ancora negli ultimi anni di vita Cecilia intratteneva soavi rapporti epistolari con Isabella d’Este, sorella di Beatrice (morta di parto decenni prima) e questa pure proteggeva Lucrezia Crivelli, che aveva sostituito Cecilia nel ruolo di amante sempre negli anni in cui il Moro era sposato con la di lei sorella. Anche dalla Crivelli il duce di Milano ebbe un figlio, diventato marchese di Caravaggio, e anche lei fu fatta ritrarre dal dipendente Leonardo nella Belle Ferronière.
Una mostra-itinerario Gallerani a San Giovanni in Croce si potrebbe organizzare per i prossimi anni. Forse, per un breve periodo, potrebbe arri- vare il Leonardo da Cracovia. Inoltre, come anni fa mi fece scoprire lo storico locale William Ottolini, Cecilia Gallerani invecchiata (bene) apparirebbe ritratta in una pala di Tommaso Aleni detto il Fadino ora collocata nella navata della nuova (e orribile) parrocchiale del 1940. È una Madonna della misericordia e la Gallerani sarebbe una delle donne in preghiera sotto il manto della Vergine, la seconda da destra in abito verde. Poiché il Fadino, pittore cremonese attivo fra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, collaborò con il Campi nel trittico della chiesa di Santa Maria Maddalena a Cremona, si potrebbe far giungere a San Giovanni anche qualcosa dei Campi; ci sono due belle teste dipinte da Galeazzo Campi che sono prossime a tornare a Solarolo Rainerio, un paesino a due passi da San Giovanni in Croce (circa 2.000 abitanti), ovvero dalla casa della Dama con l’ermellino.