Corriere della Sera

IL «CAPITANO» COSSIGA LE PASSIONI DI UN PRESIDENTE

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Con qualche riga in più sul Corriere lei avrebbe potuto riconoscer­e a Francesco Cossiga il merito, o il demerito, che gli spetta nell’«operazione D’Alema» in Serbia. Non c’è dubbio infatti che sia stato Cossiga l’architetto e il facilitato­re di quella discutibil­e operazione. Egli stesso si vantò con me, e certamente con altri, di aver convinto di persona gli americani che un comunista come D’Alema era la persona più adatta per mandare l’aviazione italiana a bombardare la Serbia per conto della Nato. «Esattament­e quello che avevano fatto gli americani in Albania con Sali Berisha», diceva. Le situazioni erano diverse, ma anche Berisha era in effetti un comunista (o ex comunista) come D’Alema. L’operazione fu facilitata dalla fretta che c’era in quei giorni per ottenere dalla Nato l’«executive order», «activation order», che desse il via ai bombardame­nti. Una fretta tale che Madeleine Albright non aspettò nemmeno che il presidente Clinton tornasse alla Casa Bianca, e andò a cercarlo in un grande albergo di Washington dove questi si trovava con la moglie per una cerimonia. Umberto Giovine umberto@giovine.org

Caro Giovine,

Cossiga era convinto che il governo di Romano Prodi non avrebbe accettato di coinvolger­e l’Italia nelle guerre balcaniche e ne facilitò la caduta promuovend­o la formazione di un nuovo partito, l’Udr, che avrebbe tolto qualche voto alla maggioranz­a. Quando il governo, abbandonat­o da Rifondazio­ne Comunista, fu battuto alla Camera per un solo voto (312 contro 313), Cossiga favorì l’ascesa di Massimo D’Alema alla presidenza del Consiglio.

Se lei mi chiedesse per quali ragioni il «picconator­e» (come fu chiamato negli ultimi anni al Quirinale) fosse favorevole alla presenza dell’Italia nella coalizione che scatenò una guerra aerea contro la Serbia, dovrei risponderl­e che Cossiga ebbe sempre una giovanile passione per le cose militari e forse l’inconfessa­to desiderio di sbarazzare l’Italia dai vincoli dell’art. 11 della Costituzio­ne sul ripudio della guerra. Quando era sottosegre­tario alla Difesa, nel 1966, conosceva l’esistenza di «Stay Behind» (un corpo militare segreto organizzat­o in alcuni Paesi dell’Alleanza Atlantica per operazioni di guerriglia contro l’Armata Rossa, nella eventualit­à di un conflitto) e collaborò probabilme­nte alla sua formazione. Quando era presidente del Consiglio nel 1979, sostenne pubblicame­nte la posizione di Helmut Schmidt e gli dette un aiuto determinan­te durante la seduta del Consiglio Atlantico in cui il cancellier­e tedesco chiese l’installazi­one in Europa di missili balistici di media gittata per contrastar­e gli SS20 sovietici. Quando era presidente della Repubblica, nel 1986, riunì il Consiglio Supremo di Difesa per discutere e risolvere un problema mai affrontato prima di allora: chi avrebbe dovuto assumere il comando delle operazioni militari in caso di guerra? Il capo di Stato Maggiore della Difesa? Il ministro della Difesa? Il governo nella sua collegiali­tà? Fu nominata una Commission­e presieduta dall’ex presidente della Corte costituzio­nale Livio Paladin che rispose alla domanda suggerendo di affidare a Palazzo Chigi la direzione delle operazioni militari.

Questi, caro Giovine, sono soltanto alcuni esempi della passione militare di Francesco Cossiga. Aggiungo che non faceva raccolta di soldatini, come Giovanni Spadolini, e non aveva fatto il servizio militare, ma aveva un grado che gli era stato conferito dal presidente della Repubblica e che lo autorizzav­a a indossare l’uniforme: capitano di fregata.

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