La colpa delle fabbriche
Caro Romano, il tema razziale rimane indubbiamente un nervo scoperto nella società statunitense. E, questo, nonostante abbia un presidente afroamericano. Ma l’episodio scatenante la strage di poliziotti di Dallas non conferma quanto sia «equivoco» il continuo libero possesso delle armi da fuoco negli Usa? Diritto costituzionalmente sancito per la tradizione della breve storia del Paese nordamericano, ma che di rimando accentua il rischio per le sue stesse forze dell’ordine. Perché al nostro «favorisca patente e libretto» si aggiunge troppo spesso «...e pistola»! E chi fa il mestiere di poliziotto o di carabiniere sa cosa significhi vivere con il patema di attendere cosa verrà estratto dal cassetto dell’auto. L’uccisione in diretta Facebook di quel cittadino americano non solo ha evidenziato l’errore imperdonabile del poliziotto che ha fatto fuoco ma anche la sua tensione e paura per controlli di routine in un Paese che ottusamente continua a lasciare troppe armi in mano a chiunque. Può bastare l’epopea del Far West a giustificarlo e permettermelo ancora?
Mario Taliani, Noceto La società americana è prigioniera di un tragico circolo vizioso. Le fabbriche d’armi sostengono che i loro prodotti soddisfano una domanda di libertà e sicurezza. I cittadini le comprano per difendersi da eventuali minacce nelle loro case e nelle loro vetture.
La polizia dà per scontato che ogni cittadino sia armato, abbia un’arma nel cassetto, possa estrarla; e spara per prima. È possibile che le fabbriche non si accorgano di avere in questo circolo vizioso, una forte responsabilità?