Corriere della Sera

Kamikaze in nome dell’Isis

Il giuramento in un video. Dal 13 luglio doveva essere espulso dalla Germania

- Di Giusi Fasano Angelucci, Galli Olimpio, Serafini

Il kamikaze di Ansbach, in Germania, ha un nome e un volto. Si chiamava Mohammed Deleel e in un video aveva giurato fedeltà all’Isis. Si è costruito da solo la bomba che in Baviera ha ferito 15 persone. Deleel aveva problemi psichici e per i suoi atteggiame­nti da duro era soprannomi­nato «Rambo». Dal 13 luglio avrebbe dovuto essere espulso dalla Germania, i documenti erano già firmati. Berlino difende la politica sui profughi: non possiamo scaricare tutto sui rifugiati. Ma il ministro dell’Interno de Maizière: «Decine quelli sospettati di terrorismo».

Il soprannome Disprezzav­a gli islamici poco osservanti, ma faceva uso di alcol e droga. Lo chiamavano Rambo: «Era ossessiona­to dalla guerra»

ANSBACH La guerra, sempre la guerra. Il siriano Mohammed Deleel non parlava d’altro. Aleppo, le bombe, le ferite, le donne e i bambini che muoiono laggiù ogni giorno... Quel suo essere sintonizza­to sempre sull’argomento Siria qui ad Ansbach gli è valso il soprannome di «Rambo», anche se chi l’ha conosciuto giura che non ne avesse né i modi né il fisico. Conosceva tutti, Mohammed, ma non aveva veri amici, parlava con disprezzo degli islamici poco osservanti ma poi beveva alcol e usava droga. Voleva lo status di rifugiato in Germania, ma l’aveva chiesto anche alla Bulgaria. Non perdeva occasione per ripetere che «quelli non mi rappresent­ano», che «io non sono così» e che «non farei mai una cosa del genere» e alla fine invece l’ha fatta: è diventato kamikaze nel nome dell’Isis.

La sicurezza rafforzata

Era lui l’uomo dallo zainetto enorme che i testimoni hanno visto agitarsi prima dello scoppio, lui l’unica vittima di questa storia dai contorni ancora oscuri. Sono le dieci di domenica sera. Mohammed arriva all’ingresso della piazza dov’è in corso un concerto, c’è folla. Lui prova a passare lo sbarrament­o di polizia municipale che la sindaca Carda Seidel ha voluto più severa di sempre dopo la strage di Monaco: è un profugo e di solito da queste parti sono gentili con gli immigrati, lui forse spera che lo lascino entrare anche se non ha il biglietto ma si sbaglia. L’ordine della sindaca dice che entra solo chi ha i biglietti e per di più Mohammed nota che la polizia locale controlla anche le borse di chi passa il varco. Capisce che il suo piano non funzionerà, le sue vittime immaginari­e nella piazza del concerto non ci saranno. E allora prende a camminare, agitatissi­mo, davanti all’Eugene Winstube, un piccolo winebar che si trova proprio davanti all’arco sotto il quale è costretto a passare chi entra in piazza.

Claudia Frosch, una signora che era seduta al tavolino lì davanti, racconta che «quel tizio si comportava in un modo che era impossibil­e non notare. Camminava nervosissi­mo avanti e indietro e parlava di continuo al telefono. Faceva finta di ascoltare la musica del concerto ma si vedeva che non era lì con la testa. E poi aveva uno zaino sulle spalle davvero grande...».

Con chi parla Mohammed in quel minuti non è ancora chiaro. Quello che raccontano i testimoni è che «a un certo punto si è avvicinato ai tavolini e c’è stato lo scoppio». La bomba che aveva confeziona­to lui stesso («da solo» dice la polizia) ha colpito con chiodi, bulloni, lamette, pezzi di ferro, chiunque fosse davanti al Winstube. Quindici feriti, quattro dei quali in gravi condizioni ma non in pericolo di vita. Lui, il kamikaze, è morto sul colpo e il suo sangue ieri era ancora per terra a lambire la sagoma disegnata dalla polizia.

Gli uomini dell’antiterror­ismo sono arrivati in massa ad Ansbach nella notte e già ieri pomeriggio erano molti i dettagli sui quali contare per disegnare il profilo di questo ragazzo definito «mentalment­e instabile» prima che terrorista. Il suo legame con gli uomini del Califfato è emerso con l’analisi dei suoi due telefonini. In un video ritrovato nella memoria di uno dei cellulari Mohammed avrebbe lasciato una sorta di rivendicaz­ione personale: immagini con la sua voce in sottofondo per giurare «fedeltà e sottomissi­one» al sedicente Stato islamico e per annunciare che il suo «sacrificio» era contro la Germania per il suo intervento anti-islam. Parole in linea con l’altra rivendicaz­ione arrivata direttamen­te dagli uomini neri attraverso il loro sito, Amaq. «Un combattent­e dello Stato islamico ha compiuto l’attacco suicida che ha ferito decine di persone», dice un messaggio postato nel pomeriggio di ieri, «in risposta alle richieste jihadiste di colpire i Paesi che partecipan­o alla coalizione contro l’Isis».

L’arsenale in camera

La matrice terroristi­ca esiste, ma esiste anche un’altra faccia della medaglia: i problemi psichiatri­ci di Mohammed Deleel. Da quando era arrivato in Europa aveva tentato due volte il suicidio ed era stato ricoverato in entrambi i casi in una clinica psichiatri­ca. Un dettaglio che fa dire al ministro degli Interni Thomas de Maizière che quest’attacco, in realtà, potrebbe essere «una combinazio­ne di tutte e due le cose».

«Certo Mohammed era uno che raccontava bugie a raffica», dice Alireza Kodadadi, un suo coinquilin­o, se così si può dire, ospite come lui del Christl, ex pensione a una stella in cima a una stradina di Ansbach che dal 2014 è diventata casa per i richiedent­i asilo. Alireza racconta che «Mohammed era sempre critico con chi non era un vero musulmano», che giurava «non starò mai dalla loro parte» e che «era alla ricerca continua di attenzione» anche se non era in confidenza con nessuno.

Niente contatti stretti con gli altri ospiti del Christl ai quali non permetteva mai di entrare nella sua stanza, anche perché avrebbe dovuto spiegare perché teneva accanto al letto materiale per fabbricare bombe artigianal­i: una tanica con liquido infiammabi­le, acido cloridrico, un saldatore, cavi elettrici, pezzi di ferro, chiodi e bulloni ma anche un rotolo di banconote da 50 euro. Eppure non sembrava avere disponibil­ità di soldi.

Mahammud Mubaritz, pachistano suo compagno di corridoio, racconta che «da un po’ di tempo insisteva tanto di aver bisogno di soldi e voleva che lo aiutassi a cercare un posto dove lavoro io, da McDonald’s. L’ho visto l’ultima volta sabato scorso», ricorda. «Era un tipo un po’ particolar­e. Ma nessuno di noi avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato a tanto».

La notifica dell’espulsione

Quando si è radicalizz­ato? Per quanto tempo ha coltivato il «sogno» di diventare martire in nome di Allah? A chi telefonava prima di farsi esplodere? Mentre la procura federale prova a rintraccia­re gli elementi per rispondere a queste e a mille altre domande, è la sindaca di Ansbach a buttar lì una ipotesi. «Il 13 luglio potrebbe essere il motivo che ha scatenato la sua furia l’altra sera», dice la signora Carda Sidel in una affollatis­sima conferenza stampa.

Il 13 luglio Mohammad aveva ricevuto la notifica della sua espulsione. La Germania gli dava 30 giorni di tempo per andarsene in Bulgaria, primo Paese europeo sul quale lui aveva messo piede e che gli aveva riconosciu­to la tutela di profugo. Non è ancora chiaro in che anno fosse arrivato lì ma è certo che a dicembre del 2014 aveva deciso di passare il confine con la Germania e di chiedere

asilo qui. La risposta è stata un no. Perché aveva già il procedimen­to aperto in Bulgaria e quindi avrebbe dovuto partire per Sofia. Ma lui ha fatto ricorso e, fra la richiesta e l’esame della sua domanda, è stato in clinica psichiatri­ca. Quindi i tempi dell’espulsione si sono allungati. Fino a quel 13 luglio scorso che per lui è stata una data di disperazio­ne. Non voleva assolutame­nte tornare in Bulgaria, dove pare fosse stato arrestato (alla polizia tedesca è noto per reati legati alla droga ma non è chiaro il motivo dell’arresto bulgaro). Ed è per questo che cercava disperatam­ente un lavoro: era convinto che lavorando avrebbe potuto convincere le autorità tedesche. Forse, ipotizza appunto la sindaca di Ansbach, la sua radicalizz­azione ha avuto un’accelerazi­one proprio a partire da quel giorno.

Mohammed, con le sue ferite di guerra ai piedi e alle gambe, con i suoi guai con la giustizia, con la sua confusione mentale e con un computer aperto perennemen­te sulle pagine degli estremisti islamici, ha preparato la sua vendetta con cura. Forse aveva fatto cose del genere anche quando era in Siria. Non si sa se sia stato un combattent­e ma adesso sappiamo che sapeva confeziona­re una bomba, probabilme­nte anche grazie all’aiuto di Internet. Qualcuno senza volto gli ha risposto da uno dei suoi account Facebook (ne aveva sei), qualcuno gli ha spiegato come contattare gli uomini del Califfato (aveva in stanza molte carte sim) e Mohammed il bugiardo — il Rambo di Ansbach — è diventato il primo kamikaze Isis in terra tedesca.

Il movente Quando si è radicalizz­ato? A chi telefonava prima di farsi esplodere? Di sicuro c’è solo che il 13 luglio ha ricevuto la notifica di espulsione

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 ??  ?? Il volto Mohammed Deleel, il profugo che si è fatto esplodere domenica sera ad Ansbach, in una foto pubblicata dall’agenzia stampa dell’Isis
Il volto Mohammed Deleel, il profugo che si è fatto esplodere domenica sera ad Ansbach, in una foto pubblicata dall’agenzia stampa dell’Isis
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