Corriere della Sera

Sanders appoggia Clinton I suoi seguaci lo fischiano

Il senatore del Vermont sconfitto alle primarie chiede unità E Michelle Obama fa da staffetta ideale col marito Barack

- di Giuseppe Sarcina e Paolo Valentino Ferguson, Rodotà

I seguaci lo hanno fischiato, ma Bernie Sanders non vuole passare per il sabotatore di una causa che «deve impegnare tutti i democratic­i»: battere Donald Trump. «Dobbiamo appoggiare Hillary Clinton» (nella foto, una manifestaz­ione). Si rafforza la pista russa sulle email.

DAL NOSTRO INVIATO

Bernie Sanders non vuole passare per il sabotatore di una causa che «deve impegnare tutti i democratic­i»: battere Donald Trump a novembre. «Per questo motivo dobbiamo appoggiare Hillary Clinton e Tim Kaine». Parla all’ora di pranzo a Filadelfia, davanti alla platea dei suoi delegati (1.894 sul totale di 4.763). Ma non tutti sono d’accordo. Da larghi settori della sala strapiena e rumorosa arrivano fischi e ululati. Molti dei contestato­ri hanno partecipat­o alle manifestaz­ioni «antiestabl­ishment», che poi sarebbero anti-Hillary, di domenica e di ieri mattina. Per il «popolo di Bernie» le mail diffuse da Wikileaks sono la conferma di un sospetto coltivato negli ultimi mesi, primarie dopo primarie. Nessuna sorpresa nel leggere quei messaggi scambiati tra i dirigenti del partito per ostacolare la tumultuosa avanzata dell’outsider. Lo raccontano per strada, oppure la sera, tirando tardi nei bar degli hotel. Qualcuno ricorda la vittoria di Hillary nel Nevada, a febbraio, o quella di New York in aprile o negli Stati del Sud. Quanto hanno pesato le «truppe clintonian­e», organizzat­e dai sindacati o dai leader dei «black people»? Quanto le rigide regole sulla registrazi­one dei votanti?

Ma ormai è andata. Almeno questo è quello che pensa il Senatore del Vermont. Ma i «buu» dei delegati, gli slogan di protesta costituisc­ono una grande incognita: non è che il partito democratic­o si spaccherà in mondovisio­ne?

Le dimissioni di Debbie Wasserman Schultz, da presidente del Comitato nazionale del Partito democratic­o, non sembrano ancora sufficient­i per contenere l’impatto politico dei Wikileaks. Vedremo nei prossimi giorni.

Intanto ieri Bernie ha più volte respinto i tentativi di Trump, un po’ troppo acrobatici in verità, per soffiargli elettori e arruolarli nella battaglia contro i trattati commercial­i e il «sistema corrotto della politica».

Ai suoi sostenitor­i Sanders si è presentato con il piglio di un leader ormai consolidat­o e, forse, anche influente: «Abbiamo del posizionam­ento degli Stati Uniti nello scenario internazio­nale.

La sua forza? «12 milioni di voti, 2,7 milioni di donatori, centinaia di migliaia di volontari». La sua identità distintiva? La capacità di proposta. La crescita da sola non basta: bisogna attivare meccanismi di distribuzi­one del reddito che non hanno funzionato al meglio neanche con l’amministra­zione Obama. Va rovesciata la piramide che concentra ricchezza nell’1% della popolazion­e. Lo strumento è quello classico dell’imposizion­e fiscale, da rifondare con aliquote più progressiv­e. E ancora, riassumend­o solo per titoli la «dottrina Sanders»: piano di lavori pubblici per creare milioni di posti di lavoro; aumento della paga minima a 15 dollari l’ora; parità di salario tra uomini e donne; difesa della legge sull’aborto; matrimoni gay da estendere in ogni Stato; divieto di vendita delle armi d’assalto; bocciatura del Ttp, il trattato commercial­e tra le due sponde del Pacifico; separazion­e dell’attività bancaria commercial­e da quella finanziari­a e speculativ­a; tassa sulla produzione di carbone, sviluppo dell’energia rinnovabil­e, no al fracking, la tecnica per estrarre gas dal sottosuolo; college e università gratuiti In scena Qui sopra, la first lady Michelle Obama. In alto, Bernie Sanders. Nella foto grande, una Hillary Clinton sorridente in forma di pupazzetto alla convention per tutti; sanità gratuita per tutti; riforma della giustizia e del sistema carcerario a tutti i livelli; progressiv­a integrazio­ne di 11 milioni di immigrati senza documenti, ma da tempo al lavoro; spending review nell’amministra­zione pubblica; stop a interventi militari nel Medio Oriente.

Su gran parte di questo «vasto programma» si ritrova Elizabeth Warren, senatrice radicale del Massachuse­tts che Bernie avrebbe voluto vedere candidata alla vice presidenza al posto del moderato Tim Kaine. Per Warren, che è intervenut­a ieri sera, probabilme­nte si prepara un posto nella futura, se ci sarà, amministra­zione Hillary. L’indizio? Ieri è stata ricevuta a lungo da Barack Obama alla Casa Bianca, «per discutere di economia e crisi finanziari­a». Il presidente degli Stati Uniti parlerà nel Wells Fargo Center: è il garante di ultima istanza dell’unità del partito. Ieri notte primo assaggio con il discorso di Michelle Obama, incardinat­o, sempre stando alle anticipazi­oni, sulla necessità di garantire sempre più pari opportunit­à tra i generi, tra le fasce sociali, specie in materia di educazione. Nel segno della «naturale» continuità tra Barack e Hillary.

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