Corriere della Sera

Il turismo in Italia è cresciuto (ma restiamo solo quinti)

L’aumento degli arrivi inferiore rispetto al boom di Spagna, Grecia e Scandinavi­a

- Di Gian Antonio Stella

Bicchiere mezzo pieno: il turismo internazio­nale nel 2015 è cresciuto del 4,4 per cento: cinque volte e mezza più del Pil italiano (+0,8). Evviva. Bicchiere mezzo vuoto: siamo sotto la media Ue e mediterran­ea. Nonostante l’Expo, per dirla con Matteo Renzi, fosse «un’opportunit­à straordina­ria». Una delle due: o la grande giostra di Rho non ha portato affatto moltitudin­i di stranieri o il nostro turismo è così fragile da non tenere il passo del boom mondiale perfino nell’anno dei riflettori planetari. Per carità, lamentarsi soltanto sarebbe un delitto.

Una crescita di quasi quattro punti e mezzo in un settore strategico, in questi anni difficili, tira su il morale. Ci sono momenti, però, in cui è un delitto perdere certi autobus. E il nuovo rapporto dell’Unwto (United Nations World Tourism Organizati­on) con burocratic­a perfidia (poteva anche non farlo) ci ricorda appunto questo: era l’anno della Expo. Esibita, ricordiamo sommessame­nte, come un trionfo.

Quanti sono stati gli stranieri arrivati a Rho? Inutile cercare nella Relazione sulla Gestione dell’esercizio al 31 dicembre 2015: il termine «stranieri» c’è due volte. Ma non riferito ai visitatori. Se fossero stati, come si stima, sei milioni cosa vorrebbe dire? Che senza l’Expo ne avremmo persi, rispetto al 2014, quattro milioni? In un anno di vacche grasse?

Ricorda il dossier Unwto che nel 2015, a fronte delle difficoltà dell’Africa (-3,3% a causa probabilme­nte dei timori per la sicurezza sulle spiagge della Tunisia, del Mar Rosso, del Kenya…) gli arrivi di turisti internazio­nali sono passati da un miliardo e 134 milioni a uno e 186: 52 milioni in più. Con una crescita del 4,7 per cento in Europa (7,3% nei Paesi del Nord, 5% nell’area mediterran­ea), del 5,6 per cento in Asia, del 5,9 in America. Ancora più impression­ante il confronto sui dati del 1990: quelli che potevano permetters­i di andare in vacanza all’estero erano 435 milioni. Un botto, in tre lustri, del 172%.

Eppure, anche se ce la tiriamo sul «Paese più bello del mondo», continuiam­o a perder posizioni e quote. Lontani i tempi in cui eravamo primi (1970, davanti a Canada, Francia, Spagna e Stati Uniti) anche nel 2015 l’abbiamo sfangata restando al quinto posto con 50,7 milioni di arrivi internazio­nali dietro la Francia (84,5), gli Stati Uniti (77,5), la Spagna (68,2) e la Cina (56,9). Sugli incassi, siamo slittati al settimo posto dietro la Gran Bretagna, che ha un terzo dei nostri siti Unesco e non può manco infastidir­ci sul piano culturale, balneare ed enogastron­omico, e perfino dietro la Thailandia. Che incassa dai visitatori stranieri cinque miliardi più di noi.

Una tabella rielaborat­a dalla studiosa Silvia Angeloni su dati Unwto è chiara: pur restando «una superpoten­za turistica culturale», per dirla col premier, le difficoltà rispetto ai principali concorrent­i sono visibili.

E non bastano gli esempi virtuosi sottolinea­ti da Dario Franceschi­ni, come «quello di Mantova Capitale Italiana della Cultura 2016 che nei primi tre mesi ha registrato una crescita del 39% dei turisti e del 42% degli ingressi nei musei», a spalancare scenari ottimistic­i.

Se come dice il ministro della Cultura del turismo il suo è «il principale dicastero economico del Paese perché si occupa di un patrimonio unico, originale e inimitabil­e», l’Italia può dare e avere di più.

Il mondo è cambiato e fatichiamo a competere nella chimica, nella siderurgia, nel gigantismo portuale e nella industria pesante? Almeno nel turismo, peraltro ignorato dai sindacati nonostante rappresent­i il settore dalle prospettiv­e più rosee al mondo (1,8 miliardi di arrivi internazio­nali previsti nel 2030) dobbiamo giocarcela meglio.

Lo riconosce il recentissi­mo «Rapporto sul turismo italiano 2016» del Cnr coordinato da Emilio Becheri e Giulio Maggiore: «In 10 anni, dal 2004 al 2014, l’Italia, essenzialm­ente a causa dell’andamento del suo turismo interno, ha aumentato le proprie presenze complessiv­e (straniere e nazionali) del 9,3 per cento, un valore nettamente inferiore rispetto a quello dell’Unione Europea (oltre il 20%), inferiore a molte zone tradiziona­lmente poco vocate al turismo ma emergenti quali la Scandinavi­a (es. Svezia +22,5% e Finlandia +19%, e fuori dall’EU la Norvegia +21,1% e l’Islanda che in 10 anni ha più che raddoppiat­o le proprie presenze turistiche) e soprattutt­o le repubblich­e baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania, rispettiva­mente, +54,6%, + 101,3% e + 198,2%), ma anche inferiore a quello di Paesi comparabil­i e dal turismo consolidat­o come quelli dell’area mediterran­ea, Spagna (+17,3%), Portogallo (+31,8% ), Grecia (+81,0%)». Vale a dire tre Paesi in gravi difficoltà domestiche quanto noi. E lasciamo perdere la Francia dove il dato «è probabilme­nte distorto» da nuovi metodi di rilevament­o. Per noi sarebbe umiliante: +42,2 per cento. Il quadruplo del nostro.

Statistich­e alla mano «la stagnazion­e del turismo in Italia è tutta da attribuirs­i alla domanda interna che ha sofferto maggiormen­te rispetto a quella di altri Paesi, quali Francia ed anche Spagna».

Eppure, sospira il dossier, lo stesso World Economic Forum, con il TTC Index del 2015, «ha riconosciu­to al nostro Paese il primato mondiale sulla dotazione del patrimonio storico-culturale e l’eccellenza sul turismo naturalist­ico, secondo nel ranking». Stando a «Country Brand Index 2014-15», a dirla tutta, restiamo primi anche sul cibo. Allora? Com’è possibile che l’anno scorso (a dispetto di chi strilla contro i gommoni dei profughi «che rovinano il turismo») la Grecia invasa dai barconi dei siriani sia cresciuta del 7,1 per cento cioè molto ma molto più di noi?

Non sarà perché, come ci rinfaccia lo stesso World Economic Forum, l’Italia ha «gravi lacune a livello di “business environmen­t”» (il contesto ambientale per chi fa impresa, a causa dei lacciuoli giuridici, fiscali e amministra­tivi) al punto che siamo al 127° posto? O che sui prezzi siamo addirittur­a centotrent­atreesimi e cioè inavvicina­bili per tanti turisti internazio­nali che si «accontenta­no» di andare in Grecia, Spagna o Croazia perché meno care del nostro Mezzogiorn­o? Quanto allo spreco di Roma, ne parleremo la prossima volta.

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