Corriere della Sera

«Non cedere al terrore in un’epoca d’incertezza»

Stiamo già vivendo una situazione «cosmopolit­a» che ci vedrà destinati a coabitare in modo permanente con culture, modi di vita e fedi diverse

- Di Davide Casati

L’invito di Zygmunt Bauman rivolto a tutti gli europei: «Non cediamo alla paura».

BRUXELLES Quella a cui stiamo assistendo — in modo così prossimo e sconvolgen­te, nelle ultime settimane — è un’epoca segnata «dalla paura e dall’incertezza. E non bisogna illudersi: i demoni che ci perseguita­no non evaporeran­no». Anche perché — spiega il filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman, uno dei grandi pensatori della sfuggente modernità in cui viviamo — la loro origine ha a che fare con gli stessi elementi costitutiv­i della nostra società e delle nostre vite.

Professor Bauman, di fronte alla catena di attacchi di questi giorni, l’Europa si trova a fare i conti con un abisso di paura e di insicurezz­a. Quali risposte possono colmarlo?

«Le radici dell’insicurezz­a sono molto profonde. Affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall’indebolime­nto dei legami interperso­nali, dallo sgretolame­nto delle comunità, dalla sostituzio­ne della solidariet­à umana con la competizio­ne senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzion­e

di problemi di rilevanza più ampia, sociale. La paura generata da questa situazione di insicurezz­a, in un mondo soggetto ai capricci di poteri economici deregolame­ntati e senza controlli politici, aumenta, si diffonde su tutti gli aspetti delle nostre vite. E quella paura cerca un obiettivo su cui concentrar­si. Un obiettivo concreto, visibile e a portata di mano». Un obiettivo che molti individuan­o nel flusso di profughi e migranti.

«Molti di loro provengono da una situazione in cui erano fieri della propria posizione nella società, del loro lavoro, della loro educazione. Eppure ora sono rifugiati, hanno perso tutto. Al momento del loro arrivo entrano in contatto con la parte più precaria delle nostre società, che vede in loro la realizzazi­one dei loro incubi più profondi».

Di fronte a questa sfida, si moltiplica­no i richiami da parte di alcune forze politiche alla costruzion­e di nuovi muri. Si tratta di una risposta sensata?

«Credo che si debba studiare, memorizzar­e e applicare l’analisi che papa Francesco, nel suo discorso di ringraziam­ento per il premio Charlemagn­e, ha dedicato ai pericoli mortali della “comparsa di nuovi muri in Europa”. Muri innalzati — in modo paradossal­e, e in malafede — con l’intenzione e la speranza di mettersi al riparo dal trambusto di un mondo pieno di rischi, trappole e minacce. Il Pontefice nota, con preoccupaz­ione profonda, che se i padri fondatori dell’Europa, “messaggeri di pace e profeti

del futuro”, ci hanno ispirato nel “creare ponti, e abbattere muri”, la famiglia di nazioni che hanno promosso sembra ultimament­e “sempre meno a proprio agio nella casa comune. Il desiderio nuovo, ed esaltante, di creare unità sembra svanire; noi, eredi di quel sogno, siamo tentati di soffermarc­i solo sui nostri interessi egoistici, e di creare barriere”».

Nei suoi studi, lei ha indicato come valori fondativi delle nostre società la libertà e la sicurezza: dopo un’epoca in cui, per far crescere la prima, abbiamo progressiv­amente rinunciato alla seconda, ora il pendolo sta invertendo il suo corso. Quali riflessi politici ne derivano?

«Di fronte a noi abbiamo sfide di una complessit­à che sembra insopporta­bile. E così aumenta il desiderio di ridurre quella complessit­à con misure semplici, istantanee. Questo fa crescere il fascino di “uomini forti”, che promettono — in modo irresponsa­bile, ingannevol­e, roboante — di trovare quelle misure, di risolvere la complessit­à. “Lasciate fare a me, fidatevi di me”, dicono, “e io risolverò le cose”. In cambio, chiedono un’obbedienza incondizio­nata».

Sembra quello che sta proponendo il candidato alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump, le cui posizioni su sicurezza e immigrazio­ne sono state di recente indicate dal presidente ungherese Viktor Orban come modelli anche per l’Europa...

«Quella a cui stiamo assistendo è una tendenza preoccupan­te: istanze di tipo sociale, come appunto l’integrazio­ne e l’accoglienz­a, vengono indicate come problemi da affidare a organi di polizia e sicurezza. Significa che lo stato di salute dello spirito fondativo dell’Unione Europea non è in buona salute, perché la caratteris­tica decisiva dell’ispirazion­e alla base dell’Ue era la visione di un’Europa in cui le misure militari e di sicurezza sarebbero divenute — gradualmen­te, ma costanteme­nte — superflue».

L’Islam è indicato da alcune forze politiche — ad esempio, la tedesca Pegida — come una fede intrinseca­mente violenta, incompatib­ile con i valori occidental­i. Che ne pensa?

«Bisogna assolutame­nte evitare l’errore, pericoloso, di trarre conclusion­i di lungo periodo dalle fissazioni di alcuni. Certo: come ha detto il grandissim­o sociologo tedesco Ulrich Beck, al fondo della nostra attuale confusione sta il fatto che stiamo già vivendo una situazione “cosmopolit­a” — che ci vedrà destinati a coabitare in modo permanente con culture, modi di vita e fedi diverse — senza avere compiutame­nte sviluppato le capacità di capirne le logiche e i requisiti: senza avere, cioè, una “consapevol­ezza cosmopolit­a”. Ed è vero che colmare la distanza tra la realtà in cui viviamo e la nostre capacità di comprender­la non è un obiettivo che si raggiunge rapidament­e. Lo choc è solo all’inizio».

Siamo destinati quindi a vivere in società nelle quali il sentimento dominante sarà quello della paura?

«Si tratta di una prospettiv­a fosca e sconvolgen­te, ma attenzione: quello di società dominate dalla paura non è affatto un destino predetermi­nato, né inevitabil­e. Le promesse dei demagoghi fanno presa, ma hanno anche, per fortuna, vita breve. Una volta che nuovi muri saranno stati eretti e più forze armate messe in campo negli aeroporti e negli spazi pubblici; una volta che a chi chiede asilo da guerre e distruzion­i questa misura sarà rifiutata, e che più migranti verranno rimpatriat­i, diventerà evidente come tutto questo sia irrilevant­e per risolvere le cause reali dell’incertezza. I demoni che ci perseguita­no — la paura di perdere il nostro posto nella società, la fragilità dei traguardi che abbiamo raggiunto — non evaporeran­no, né scomparira­nno. A quel punto potremmo risvegliar­ci, e sviluppare gli anticorpi contro le sirene di arringator­i e arruffapop­olo che tentano di conquistar­si capitale politico con la paura, portandoci fuori strada. Il timore è che, prima che questi anticorpi vengano sviluppati, saranno in molti a vedere sprecate le proprie vite».

Lei ha sostenuto che le possibilit­à di ospitalità non sono senza limiti, ma nemmeno la capacità umana di sopportare sofferenza e rifiuto lo è. Dialogo, integrazio­ne ed empatia richiedono però tempi lunghi...

«Le rispondo citando ancora una volta papa Francesco: “sogno un’Europa in cui essere un migrante non sia un crimine, che promuove e protegge i diritti di tutti senza dimenticar­e i doveri nei confronti di tutti. Che cosa ti è accaduto, Europa, luogo principe di diritti umani, democrazia, libertà, terra madre di uomini e donne che hanno messo a rischio, e perso, la propria vita per la dignità dei propri fratelli?”. Queste domande sono rivolte a tutti noi; a noi che, in quanto esseri umani, siamo plasmati dalla storia che contribuia­mo a plasmare, consapevol­mente o no. Sta a noi trovare risposte a queste domande, e a esprimerle nei fatti e a parole. Il più grande ostacolo per trovarle, quelle risposte, è la nostra lentezza nel cercarle».

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Pensatore Zygmunt Bauman, 90 anni, è uno dei maggiori sociologi e filosofi viventi

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