Corriere della Sera

Monaco, il complice sedicenne ispirò la strage

Il killer del centro commercial­e aveva scoperto il criminale norvegese Breivik grazie all’amico I due adolescent­i si erano conosciuti durante un ricovero psichiatri­co ed erano diventati inseparabi­li

- Andrea Galli

Fiori e candele Mazzi di fiori e candele lasciati sullo spiazzo di fronte all’entrata del centro commercial­e Olympia, a Monaco di Baviera, in ricordo dei giovani uccisi dallo studente tedesco-iraniano (Afp/Christof Stache) DAL NOSTRO INVIATO

Vasi di violette sui davanzali, margherite nel giardino leggerment­e incolto, sculture di merli, alle pareti poster dell’infinità della volta celeste, pazienti che escono a fumare e a correre in pigiama, uno spazio con poche barriere se non le reti nella tromba delle scale per impedire i suicidi. Il piano del massacro di venerdì è nato qui, negli edifici del reparto di Psichiatri­a della clinica di Untergiesi­ng-Harlaching.

Zona meridional­e di Monaco, fuori dalle mappe turistiche, quartiere residenzia­le di villette e piccoli bar a conduzione famigliare. Nei palazzi costruiti nel 1898, due solitudini si sono incontrate nel nome di Breivik. Quella di Ali Sonboly, il diciottenn­e con doppia cittadinan­za iraniana e tedesca, il killer del centro commercial­e. E quella del sedicenne afghano fermato domenica dalla polizia, suo amico del cuore e cultore morboso del folle che nel 2011 aveva ammazzato in Norvegia 77 persone. L’anno scorso erano stati ricoverati, per due mesi. Si erano conosciuti e piaciuti; da allora erano diventati inseparabi­li.

Sonboly arrivava da un lungo periodo di violenze a scuola, vittima dei bulli, picchiato, derubato e insultato. L’afghano, che venerdì era nel centro commercial­e ad aspettare Ali e nulla ha fatto per fermarlo o dar l’allarme, è rimasto impresso nella memoria di un dipendente dell’ospedale per la sua esuberanza. Cercava in tutte le maniere di farsi notare. La testimonia­nza dell’uomo, un cinquanten­ne che prende servizio intorno alle tre del pomeriggio, è un’eccezione nel rispetto rigoroso della privacy dei tedeschi. Non vuol parlare il dottor Phil Hill, direttore della struttura sanitaria, tacciono medici e infermieri, refrattari i tirocinant­i, chiusi nel no comment quelli dell’ufficio stampa; prima dell’allontanam­ento, veniamo invitati a rivolgerci per ogni domanda alla polizia.

La polizia, che sul sedicenne mantiene ancora parecchio riserbo, conferma la contempora­nea presenza nel reparto psichiatri­co dei due amici e un legame fortissimo. In mattinata alcuni media locali avevano parlato dell’imminenza, sempre venerdì, di un secondo attentato per mano proprio dell’afghano. Medesime le modalità, diverso soltanto il luogo. Prima la «convocazio­ne» in un cinema vicino alla stazione Centrale di gruppi di coetanei, attirati da un finto profilo Facebook; poi gli spari.

L’ipotesi non è stata avallata dagli investigat­ori che peraltro hanno già rilasciato il sedicenne (pur se indagato in stato di libertà) forse per monitorare il traffico di chiamate e incontri Adolescent­e Ali David Sonboly, 18 anni, il killer che ha ucciso 9 giovani a Monaco di Baviera e poi si è suicidato nei prossimi giorni. L’hanno accompagna­to a casa e non sarebbero state adottate misure straordina­rie come con la famiglia Sonboly, trasferita in un luogo protetto e dall’altro ieri «privata» dell’appartamen­to al quinto piano di via Dachaustra­sse 67, nel quartiere della media borghesia di Maxvorstad­t.

Sulla porta blindata al quinto piano ci sono due sigilli della polizia, entrambi datati 24 luglio. Ma uno, a differenza dell’altro, è stato tagliato dall’apertura della porta a conferma che continuano le perquisizi­oni: nell’inchiesta mancano elementi e, nessuno può escluderlo, forse altri nomi. Il condominio è tornato alla vita normale. Sulle scale si parla ancora certamente di Ali Sonboly, del suo atteggiame­nto da eremita, della sua espression­e triste e dimessa, ma senza particolar­e interesse.

La conversazi­one è bruscament­e interrotta dalla reazione a un violentiss­imo temporale alle cinque e venti. Alcuni passanti, bagnati fradici, chiedono se possono entrare a ripararsi e i residenti aprono subito il portone. Lo stesso atteggiame­nto di venerdì quando, nel caos e nella fuga, i bavaresi avevano ospitato in palazzi, bar, ristoranti, chiese, moschee e uffici chi cercava rifugio e protezione. Sembrava l’attacco su vasta scala dell’Isis. È stata la grande vendetta d’un diciottenn­e depresso che, prima di uccidere e uccidersi, aveva voluto salutare il compagno d’ospedale e «scopritore» di Breivik.

Spesso sparivano dal padiglione della clinica e si allontanav­ano chiacchier­ando fitto fitto. Come con i genitori di Ali, i professori e i dirigenti scolastici, gli investigat­ori ascolteran­no il personale di Psichiatri­a. La convinzion­e è che la strage era ampiamente evitabile e che più d’uno non ha saputo o voluto vedere.

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