Trump, il potere della paranoia
Che farsa! Che circo! Il discorso di Melania Trump è stato copiato da uno di Michelle Obama. L’affettuosa, ehm, palpatina di Donald Trump a sua figlia Ivanka era bizzarra e fuori luogo. Il suo bacio sospeso in aria al candidato vicepresidente Mike Pence è andato a vuoto. E il nuovo inno rock «Make America Great Again» (far tornare grande l’America) sembrava essere stato scritto dagli autori di South Park.
Questo è solo un campione rappresentativo delle cose dette dai membri dell’élite americana durante la convention del Partito repubblicano tenutasi a Cleveland la scorsa settimana. Ignoratelo. Il loro tono beffardo è solo rumore di fondo. Quello che conta è il segnale e, sebbene fosse forte (e a tratti monotono), è stato anche molto chiaro.
Il discorso di accettazione della nomination di Donald Trump è stato un pessimo corso di perfezionamento in quello che Richard Hofstadter, più di cinquanta anni fa, definì «Lo stile paranoico nella politica americana». Citando gli attacchi ai massoni alla fine del diciottesimo secolo e quelli ai cattolici romani a metà del diciannovesimo, Hofstadter argomentava che questa tradizione politica era riemersa nel 1950, con il cacciatore di streghe anticomunista Joseph McCarthy, e nel 1960, con la coscienza del conservatorismo Barry Goldwater.
Come sintetizzò Hofstadter, nella visione paranoica «le vecchie virtù americane sono già state erose da cosmopoliti e intellettuali; il vecchio capitalismo competitivo è stato gradualmente minato da cospiratori socialisti e comunisti; (e) la vecchia sicurezza e indipendenza nazionale è stata distrutta da complotti sovversivi i cui protagonisti più potenti non erano meri outsider o stranieri bensì vecchi eppure grandi uomini di Stato che stanno proprio nei ne paranoide di un Paese sull’orlo dell’Armageddon. È «un momento di crisi per la nostra nazione», ha tuonato Trump, per una volta, senza teatralità. «Gli attacchi alla nostra polizia e il terrorismo nelle nostre città minacciano il nostro stile di vita». Intere comunità stanno per essere «distrutte».
La sintesi migliore del discorso di Trump, illuminante, è stata di David Duke, l’ex Grande Mago del Ku Klux Klan, che ha twittato: «Grande discorso di Trump! L’America prima di tutto! Basta guerre! Sconfiggete le élite corrotte! Proteggete i nostri confini! Commercio equo! Non avrei potuto dirlo meglio».
Più o meno questo. Il discorso conteneva le solite soluzioni drastiche per i mali del Paese, non solo il muro al confine contro gli immigrati illegali a cui Trump imputa ingiustamente un’inesistente ondata di crimini. (quando Nixon giocò questa carta nel 1968, quanto meno c’era davvero una crisi di ordine e legalità). Lo slogan vincente A chi si crede escluso il candidato repubblicano dice: «Sono con voi», risposta brillante allo slogan vagamente compiaciuto «sono con lei» dei sostenitori di Clinton