Il suo stile affonda le radici in una lunga tradizione culturale americana. E fa presa sulla gente che si sente «espropriata»
ambito economico, ha promesso la rinegoziazione di tutti gli attuali accordi commerciali, tagli alle tasse, deregolamentazioni, e quegli investimenti in infrastrutture che tutti gli economisti keynesiani dovrebbero affrettarsi a sostenere («Costruiremo le strade, le autostrade, i ponti, tunnel, aeroporti e le ferrovie di domani»). Quanto alla politica estera, ha ripetuto il suo solito, vago impegno per «sconfiggere i barbari dell’Isis».
Lo stile paranoide, sosteneva Hofstadter, non ci abbandona mai. A determinarne la rilevanza politica è il suo appeal sulla gente che si sente «espropriata» — che crede che «l’America sia stata sottratta a loro e ai loro simili, eppure sono determinati a cercare di rientrarne in possesso». Più questa gente si sente «esclusa dal processo politico», più le loro richieste diventano «irrealistiche e irrealizzabili». Più le si nega «l’accesso alla concertazione politica e al processo decisionale», più trova conferma «la loro idea iniziale che il mondo del potere sia sinistro e maligno».
Questa è la chiave del successo di Trump, e lui lo sa. La parte più efficace del suo discorso di accettazione era chiaramente diretta agli «uomini e alle donne dimenticati del nostro Paese» — «persone che lavorano duramente ma che non hanno più una voce». A loro, Trump ha rivolto due messaggi forti: «IO SONO LA VOSTRA VOCE» e «SONO CON VOI», dove quest’ultimo è una risposta brillante allo slogan vagamente compiaciuto della campagna di Clinton, «SONO CON LEI».
«Sono con lei» è quello che dici quando cerchi di intrufolarti nella festa di Facebook a Davos stando dietro a Sheryl Sandberg. «Io sono la tua voce», invece, è lo stile paranoide al massimo della sua efficacia.
Al centro dello stile paranoide c’è sempre la nostalgia. Ai tempi di Hofstadter, la gente guardava agli anni precedenti la Prima guerra mondiale. Oggi rimpiangono l’epoca precedente