CAMBIARE L’UNIONE PER DARE SICUREZZA AI CITTADINI
Bisogna contrastare le nuove teorie cospiratorie che canalizzano l’angoscia verso la Ue
Caro direttore, c’è un grido che si alza dai popoli europei: «Sicurezza!». La crisi economica e finanziaria, gli incontenibili flussi migratori, il terrorismo jihadista, sono fenomeni assai diversi, ma interagiscono tra loro producendo un unico risultato: il senso di insicurezza che corrode le nostre società e può disintegrare l’Unione Europea.
Tornano di attualità, così, le pagine che Franz Neumann ha scritto su «angoscia e politica» per spiegare, contaminando gli strumenti della scienza politica con quelli della psicoanalisi, l’ascesa al potere del nazismo. Malessere sociale e incertezza determinano una condizione di angoscia, che è il terreno fertile per la produzione di una qualche teoria cospiratoria della storia. Per calmare l’angoscia si individua semplicisticamente un nemico, che agirebbe per pregiudicare gli interessi del popolo inteso come unità (nella Germania di Hitler il nemico era identificato con gli ebrei). Oggi si affermano nuove teorie cospiratorie della storia che canalizzano l’angoscia verso un nemico comune: l’Unione Europea. L’Europa che, con l’austerità, rende più misera e incerta la vita di larghe fasce dei popoli dei cosiddetti «Stati periferici»; l’Europa che assiste inerme al dramma della disoccupazione giovanile; l’Europa che non difende i risparmiatori dall’avidità dei banchieri; l’Europa che ha abbattuto le frontiere tra gli Stati, lasciando i terroristi liberi di circolare da un Paese all’altro; l’Europa che si apre a flussi migratori incontrollati che sono accusati di mettere a repentaglio l’identità e la sicurezza dei popoli europei.
E c’è poi un’Europa che appare incapace di affrontare le più generali cause di insicurezza e di angoscia del tempo presente: la rivoluzione tecnologica e la globalizzazione. L’economia digitale è il mondo dell’innovazione disruptive, è un’onda che, da una parte, crea benessere sociale, ma dall’altra parte travolge vecchi mestieri e annulla tanti lavori. Anche l’apertura dei mercati alla globalizzazione può trasformarsi in una maledizione per chi si guadagnava da vivere all’interno dei confini nazionali e ora si trova esposto a una concorrenza internazionale che è in grado di produrre a costi più bassi.
In quest’epoca di incertezza inevitabilmente c’è un ritorno a Hobbes. Alle radici dell’ordine politico c’è proprio un bisogno di sicurezza, per soddisfare il quale gli uomini danno vita al contratto sociale su cui si è fondato il potere politico, lo Stato. Il bisogno di sicurezza insoddisfatto alimenta la rivolta dei popoli contro le élite e contro l’Europa. Significativamente la decisione a favore della Brexit ha conquistato i maggiori consensi nelle aree più povere del Regno Unito e tra i losers della Grande trasformazione degli ultimi vent’anni.
Nell’età dell’insicurezza, ha poco senso per i popoli europei la domanda che, invece, si pongono la classe dirigente e i dibattiti accademici: Unione più stretta o riduzione delle competenze dell’Unione? Così come non ha alcuna capacità seduttiva il dibattito su come superare il deficit democratico dell’Unione Europea e sul rafforzamento del suo Parlamento. Come si può seriamente pensare che i popoli europei escano dall’angoscia e dall’insicurezza che li stritola sulla base di qualche proposta di ingegneria istituzionale, o sulla base del lungo processo di riforme prospettate nel «documento dei cinque presidenti»?
Se abbiamo a cuore i destini della nostra Europa dobbiamo cambiare le domande da porre al centro del dibattito pubblico. Perché domande sbagliate ci portano nel vicolo cieco in cui ci troviamo, mentre le giuste domande e i tentativi di risposte adeguate possono parlare alla mente e ai cuori dei cittadini europei. Oggi la domanda cruciale è: come ridare sicurezza ai popoli europei?
C’è nel «vecchio continente» un problema di rifondazione dell’ordine politico, muovendo dalla funzione primaria della politica: fare uscire l’uomo dallo «stato di natura» in cui rischia di ripiombare e dove, come scriveva Hobbes, «la vita dell’uomo è solitaria, misera, ostile, animalesca e breve», creando un potere politico efficace (il governo, non la governance) che sia in grado di assicurare la pace e, anche grazie a essa, la prosperità. La tentazione di molti è quella di ritenere che sia necessario tornare indietro alla sovranità degli Stati nazione. Chi crede nell’attualità e nella forza dell’idea d’Europa dovrà dimostrare, invece, l’inadeguatezza degli Stati nazione da soli a dare una risposta efficace alla domanda di sicurezza: solamente rafforzando la collaborazione tra Stati e l’integrazione delle politiche pubbliche si potranno combattere i diversi volti dell’insicurezza. In questa prospettiva, sarà necessario rafforzare il metodo intergovernativo (l’Europa dei governi) e l’idea dell’«Europa a più velocità» con livelli differenti di integrazione tra gruppi di Stati diversi, a seconda della materia e del campo di azione, nell’ottica della «cooperazione rafforzata» prevista dal Trattato.