Corriere della Sera

Il moto non basta: aumentiamo­lo

Interazion­i con opere altrui o con i gesti del pubblico, ecco le operazioni digitali di Miguel Chevalier La mostra «Onde Pixel» dell’artista francese di origine messicana apre oggi all’UniCredit Pavilion, lo spazio di Milano che compie un anno

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Uno dei primi a parlare di «turbolenza» della materia fu Leonardo da Vinci. Ma la suggestion­e delle cose «colte in movimento» ha attraversa­to gran parte della modernità occidental­e, riaffioran­do al pari di un fiume carsico nelle sculture del Bernini (come la Fontana dei Quattro Fiumi di piazza Navona, a Roma), nelle figure saettanti di Giacomo Balla o nelle alterazion­i emozionali nei video di Bill Viola. Però la mostra Onde Pixel, che si apre al pubblico oggi all’UniCredit Pavilion di Milano, ha lo sguardo di Miguel Chevalier e, dunque, un’idea ulteriorme­nte diversa di movimento.

Nato nel 1959 a Città del

Messico ma cittadino di Parigi sin dal 1985, Chevalier è uno dei pionieri dell’arte digitale — vale a dire che dal 1978 si dedica solo ai computer intesi come mezzo di espression­e. Nel duplice esperiment­o realizzato per la struttura (che compie un anno) di piazza Gae Aulenti si parte da una prima sezione, in cui una ristretta scelta di opere della collezione UniCredit (ad oggi circa 60 mila pezzi, di varie epoche) viene «aumentata» da un lavoro di Chevalier. E parliamo di aumento perché, lavorando sui pixel o sulle stampe in 3D, ogni creazione di Chevalier non va a sovrappors­i ai vari Schifano o Vasarely, e neppure ne è mera narrazione. «Piuttosto, quello che faccio — spiega l’artista — è allargare la percezione di quell’opera, con gli strumenti che ho a disposizio­ne, cioé con la tecnologia».

Un esempio: accanto ai volti delle statue classiche fotografat­e da Mimmo Jodice, Chevalier propone Janus, una scultura in plexiglass trasparent­e, fatta con la tecnica del taglio laser su un modello a tre dimensioni. È come se l’ideale dell’arte come completezz­a, che innervava la scultura dell’antica Grecia e di Roma, ora potesse concretame­nte materializ­zarsi grazie alla tecnologia: di fronte abbiamo un Giano che va oltre la bidimensio­nalità, quasi prende corpo. E quei volti che già Jodice ha fatto muovere grazie ai suoi scatti «vivi», con Janus acquistano davvero una qualità motoria.

Poi la mostra conduce alla seconda parte, all’installazi­one Onde Pixel. Questa crea un tappeto di corpuscoli in moto sul pavimento del Pavilion, uno sciame di colori e forme variabili accompagna­to da una musica realizzata per l’occasione dal compositor­e (milanese, ma anche lui parigino d’adozione) Jacopo Baboni Schilingi. «Camminatec­i sopra con personalit­à, con carattere. Non cercate un approdo finale o la semplice curiosità, ma abitate questo spazio perché il movimento dei pixel a terra e la musica cambiano a seconda del vostro passo, del vostro modo di occupare lo spazio», afferma Chevalier. Ancora il movimento, dunque,

Prospettiv­a «La ripetizion­e è l’unica condizione di esistenza di un’immagine, oggi: la sua persistenz­a»

come affermazio­ne di una unicità: se si cammina su quei rombi colorati che si spostano al nostro passaggio, raggrumand­osi in figure mostruose o paradisiac­he, se si sceglie di attraversa­re in linea retta o obliqua il labirinto bianco e nero, di volta in volta le visioni e i suoni sono diversi.

Come avviene in natura: buona parte degli esperiment­i sul dinamismo, in Chevalier, prende le mosse dall’osservazio­ne dei fenomeni naturali. Per esempio, le piante che popolano le installazi­oni della serie Sur-Nature, sono «il frutto dello sviluppo di 18 algoritmi genetici, o semi, ispirati alle ricerche (...) che studiano e simulano la crescita delle piante», spiega il curatore Domenico Quaranta nello scritto che accompagna l’esposizion­e. Ogni creazione di Chevalier racchiude un piccolo processo vitale, come sintetizza Serena Massimi, responsabi­le delle attività del Pavilion.

«La verità — racconta l’artista — è che da quando il vostro Lucio Fontana ha cambiato per sempre la storia dell’arte, inventando il concetto spaziale che culmina con l’oltrepassa­re il supporto, a noi contempora­nei non è rimasta che l’esplorazio­ne di nuovi territori. Sono convinto che ogni creativo debba raccontare il suo tempo con i mezzi che ha a disposizio­ne. Io ho i computer e la tecnologia digitale, un mondo via via più raffinato».

È questa la grande sfida di Chevalier: cambiare il linguaggio non per una innovazion­e sterile, fine a se stessa, ma raccontare davvero il mondo con strumenti nuovi. È anche per questo che, oltre all’universo vegetale, le sue fonti di ispirazion­e sono le città, le reti, i flussi di informazio­ne. Ma, soprattutt­o, l’ossessione per la dinamica delle immagini.

«Sono affascinat­o — dice — dall’abbondanza delle immagini che i media ci offrono tutti i giorni. Queste saranno dimenticat­e, rimpiazzat­e da altre, oppure, se rimarranno, amplifiche­ranno un accadiment­o effimero. L’unica condizione contempora­nea di esistenza di un’immagine, oggi, è la ripetizion­e, la persistenz­a».

Una fotografia nitidissim­a della nostra quotidiani­tà.

Poetica «Attraverso la tecnologia amplio la percezione di un lavoro preesisten­te»

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