«A 50 anni sono un caso per la scienza Battere i giovani mi accende i neuroni»
L’ex pilota è pronto per la sua seconda Paralimpiade: «Dopo Rio farò l’imprenditore»
saluto al totem, occhi azzurri ed erre che gira come una trottola, i suoi marchi di fabbrica. Grazie ai risultati e alla fama di Alex, il movimento paralimpico ha fatto un salto di qualità. «Ai Giochi di Londra c’è stata una bella botta di vitalità: le gare erano di alto livello e l’attenzione su questo mondo è cresciuta. Lì si è capito perché non ho continuato a correre in auto e perché non ho fatto la 500 miglia di Indianapolis. Lì noi atleti paralimpici siamo stati definitivamente sdoganati. Bello eh?». Gli stadi pieni, i biglietti polverizzati, la foto di Zanardi in prima pagina sul Times. Eppure la portabandiera italiana a Rio sarà Martina Caironi. Alex ha un sussulto: «Certo che mi sarebbe piaciuto portarlo io, il tricolore, però sono felicissimo per Martina. Se io sono il frontman, dietro c’è un movimento enorme. Martina è brava, bella, simpatica: come alfiere farà fare all’Italia una figura molto migliore del mio naso storto».
Pare di capire che fin qui il bilancio di questa Privilegiato Mi considero un privilegiato che ha infilato tante cose dentro questa vita Bandiera Avrei voluto portare la bandiera, ma sono felice per Martina Caironi fenice eclettica e complessa, schiacciata dallo schianto del Lausitzring (il cappellano dell’ospedale aveva già dato ad Alex l’estrema unzione) e rinata dalle sue stesse ceneri, è positivo. «Sono un privilegiato che ha infilato dentro questa vita tante cose…». Forse troppe. «Ho capito che il segreto per vivere bene è godersi il percorso perché quando tagli il traguardo è finita e subentra sempre un po’ di malinconia». L’handbike gli brucia dentro come una volta facevano le auto. È cambiato poco, in fondo: dopo Jordan, Minardi, Lotus, Williams, il suo motore è lui stesso. «Quando arrivai in Bmw Italia con il cappello in mano mi guardarono come un pazzo. Basta corse automobilistiche, voglio concentrarmi sull’handbike annunciai. Persino mia moglie Daniela, abituata alle mie follie, era scettica. E il movimento paralimpico all’epoca era davvero secondario….». E pensare che tutto è (ri)cominciato quasi per caso. Cercava un modo inedito per tenere in forma il suo nuovo corpo. «Qualche garetta e mi è tornata la voglia». Battere gli avversari gli dà sugo, come dice Alex: «Con l’handbike c’è gente che va fortissimo: quando nella 20 km fai 42 km all’ora di media lo capisce anche un profano che si tratta di roba vera. Sono stato catturato». Era la fine del 2009, l’Olimpiade di Londra sembrava lontanissima. «Ma divenne subito un obiettivo. Partivo alla scoperta di un mondo tutto da esplorare».
Da quell’irrequieto che è, pensa già al futuro. «Dopo Rio bisognerà un po’ ripensare tutto». Roma 2024, ammesso che prenda copro e anima, è un progetto con cui ha messo una certa distanza: «Ho sentimenti contrastanti. Ogni volta che c’è stata un’opportunità di cambiamento, è stata trasformata in una chance per fare guai. La verità è che la mentalità degli italiani non cambia mai. Guarda il referendum sulle trivelle: è inutile che ci lamentiamo dei politici corrotti se poi quando abbiamo l’occasione di modificare le cose andiamo al mare…». E tu Alex dove andrai? Cosa farai da grande? «L’imprenditore. Ho tante idee in testa. Banalmente, anche nel campo dell’handbike: mi piacerebbe produrre un mezzo che possa essere usato anche dai normodotati».
Aveva capito tutto papà Dino, un pomeriggio di tanti anni fa, a Castel Maggiore, Bologna. «Sandrino, mi disse, riempi giorno dopo giorno di arnesi la cassetta degli attrezzi. Più ne metti via, più ne avrai da usare nella vita». Nella prima, nella seconda e, presto, anche nella terza.