Berlino: non possiamo dare la colpa ai profughi
Il ministro dell’Interno De Maizière, però, ammette: «Sono decine quelli sospettati di terrorismo»
Il primo segnale dell’onda di piena che stava per abbattersi sul governo di Angela Merkel è arrivato intorno alle 4 di ieri mattina. È stato allora — durante la conferenza stampa seguita all'attentato avvenuto domenica notte ad Ansbach — che Joachim Herrmann, ministro dell’Interno della Baviera e collega di partito della cancelliera, ha tracciato una linea che collegava due punti che fino a quel momento, con tutte le sue forze, il governo federale aveva tenuto separati: il tema dei profughi e quello del terrorismo. «È un oltraggio — ha detto Herrmann — che si abusi della protezione garantita ai richiedenti asilo. Chi cerca protezione in Germania deve avere rispetto totale per le leggi e il popolo tedeschi». Parole che squarciavano il velo, tenue, steso sulle divisioni della CduCsu dopo l’assalto di Monaco.
Angela Merkel, attraverso la sua portavoce, ha ieri fatto sapere di essere «sconvolta» per i due attacchi di domenica: ma ha tenuto, con forza, a sottolineare come andasse evitata ogni generalizzazione: «La maggior parte dei terroristi che hanno compiuto attentati negli ultimi mesi non erano rifugiati. E l’incidenza di episodi criminali tra i profughi non è più alta che nel resto della popolazione». Parole ripetute dal ministro dell’Interno, Thomas de Maizière, che però ha ammesso che «attualmente ci sono circa 59 indagini in corso» tra i profughi «per possibili legami con il terrorismo». Nella stragrande maggioranza dei casi quei sospetti si rivelano falsi, ha spiegato. Ma in un Paese scosso da quattro attentati in sette giorni — tre dei quali compiuti proprio da richiedenti asilo —, e nel quale è ancora viva la rabbia per le centinaia di aggressioni sessuali avvenute in varie città a Capodanno, la gran parte delle quali attribuite dagli inquirenti a migranti, quella rassicurazione non poteva bastare.
A sorprendere è l’ampiezza dello spettro politico che ha attaccato, ieri, la politica delle «porte aperte» di Merkel (che lo scorso anno ha portato all’esame di 105.620 domande di asilo da parte di siriani, solo 23 delle quali sono state respinte). E se le accuse della coalizione populista di destra Alternative für Deutschland erano scontate («La sicurezza del nostro Paese viene distrutta in nome di un pericoloso multiculturalismo ideologico»), inaspettate sono arrivate quelle del partito di estrema sinistra Linke («L’accoglienza e l’integrazione sono collegate a enormi problemi, e sono più difficili rispetto allo spensierato “ce la facciamo” che Merkel ci ha voluto far credere lo scorso autunno»). Persino gli attacchi sui social network al governo della cancelliera hanno toccato toni inusualmente aspri, per la Germania.
Gli attacchi degli scorsi giorni, benché avessero matrici molto diverse tra loro, hanno dunque enormemente alzato la pressione sul governo, cui viene ora chiesto di aumentare i controlli ai confini, rendere più severi quelli sui profughi ed efficaci le espulsioni: circa la metà di quelle decise lo scorso anno non sono mai state eseguite, secondo quanto riportato dalla Welt. Tutto questo, paradossalmente, proprio in un momento in cui — anche grazie all’intesa raggiunta tra Unione europea e Turchia, fortemente voluta e difesa da Merkel — il flusso migratorio si è drasticamente ridotto.
Anche per questo, i sondaggi effettuati fino a una settimana fa davano la popolarità della cancelliera in netta risalita, e quella della destra di AfD in discesa rispetto ai livelli record toccati alle elezioni regionali dello scorso marzo. I prossimi, per Merkel, potrebbero essere ben più amari.