Corriere della Sera

«Le buone parole per sconfigger­e la cattiva politica»

- Paolo Conti

«Èdi straordina­rio interesse, in queste ore, seguire la convention democratic­a di Filadelfia, ascoltare discorsi come quello di Sanders, di Michelle Obama. Si ritrova un valore ormai dimenticat­o nella vita pubblica e politica, quello della scelta delle parole». Walter Veltroni segue l’universo degli Usa da quando era ragazzo. Oggi, lontano dalla vita pubblica italiana, propone un’analisi sulla politica che riguarda l’America, ma non solo.

Le parole, lei dice, sono un valore dimenticat­o. Ma non si è abusato troppo delle parole, nella nostra era mediatica?

«Direi il contrario. Perché quando si dice “basta con le parole” c’è sempre il buio della violenza dietro l’angolo. Viviamo in un’era in cui sono solo i gesti a prevalere. Invece, quando c’è il caos, quando occorre una bussola per non farsi trascinare dalle ventate emotive e dagli istinti irrazional­i, quando c’è la paura, le buone parole aiutano a far sì che tutto questo buio non si impadronis­ca di te e delle tue scelte. E c’è bisogno di discorsi pubblici che restituisc­ano il senso di un cammino e l’orizzonte delle speranze. Diceva Elias Canetti: “Nell’oscurità le parole pesano il doppio”. È così. Pensiamo a quanto le parole di Roosevelt alla radio hanno contribuit­o a far rinascere la democrazia, quanto quelle di Kennedy abbiano segnato un tempo di cambiament­o, quanto quelle di M. L. King abbiano segnato il destino di milioni di uomini. Quando Michelle Obama ricorda che oggi nella Casa Bianca, costruita da schiavi, vivono le bambine afroameric­ane figlie di un presidente nero, vuole proprio dare la percezione di un cammino grande e comune. Del valore di quella bellissima parola che è “politica”. Che è fatta di coscienza del passato, di idee per il presente, di un disegno per il futuro».

In una stagione come la nostra, discutere di parole e di discorsi può sembrare un’astrazione. Lei parla della convention democratic­a, ma Trump secondo la Cnn è in vantaggio nei sondaggi. Sono fatti, non parole.

«Invece è sempre una questione di parole. Un anno fa dissi che Trump avrebbe vinto le primarie repubblica­ne, e risero in tanti. Sul suo banchetto politico Trump vende, con rapidi slogan, la paura: la merce oggi più spendibile, in un momento in cui la vita sembra essere precaria, dal lavoro alla sicurezza personale. Se prevale la paura, la prospettiv­a che il mondo precipiti in un’avventura drammatica diventa purtroppo molto reale. I presuppost­i non mancano: una recessione economica lunghissim­a, con conseguenz­e umane e sociali devastanti, una profonda crisi delle istituzion­i democratic­he, ovunque nel mondo. E poi la minaccia del terrorismo, il dramma dell’immigrazio­ne, gli effetti di una rivoluzion­e tecnologic­a che per la prima volta nella storia cancella lavoro invece di crearne».

Ma Trump potrebbe davvero vincere, come sostiene da tempo il regista e polemista Michael Moore?

«È un momento in cui l’impossibil­e non esiste più. La Brexit sembrava un’ipotesi remota, fino a qualche mese fa. E chi avrebbe mai creduto che milioni di francesi avrebbero creduto nel lepenismo?».

Seguendo il suo filo delle parole, perché Trump sta convincend­o così tanti americani?

«Trump è riuscito in un’operazione paradossal­e. Apparire il paladino dei “lontani dal potere”, colui che può smontare l’edificio di istituzion­i che sembrano lontane. Non è il repubblica­no moderato. È un estremista, figlio di tempi in cui è difficile vincere al centro

e prevale la tendenza a radicalizz­are le posizioni. È già successo, nella storia». La paura pesa: potrebbe pesare anche in Italia?

«Ci sono momenti in cui diventa dicibile ciò che ieri era indicibile. Vorrei ricordare che il Paese di Dante e Michelange­lo varò le leggi razziali fasciste. E nessuna famiglia ritirò i figli dalle scuole per protesta contro l’allontanam­ento dei bambini ebrei. Ci furono le ovazioni per l’entrata in guerra. Ricordiamo­celo».

I gesti: cosa pensa della bambola gonfiabile esibita da Salvini e del paragone con la presidente Boldrini?

«È la semina dell’odio, la contrappos­izione personale e volgare. Non si accetta che esista l’altro da sé. In ogni campo».

Questo suo discorso funziona anche per la situazione politica italiana, per il governo Renzi? «Non voglio entrare in questo dibattito.

Dico che mai come ora c’è bisogno di politica alta, di ragione e di emozioni positive. La politica è bella anche perché, specie quando tutto cambia, si “capisce insieme”, si ascolta , si studia, si cambia idea. Insieme. Ora il dibattito si riduce nel dire in cinque minuti se un leader è un genio o un cretino. Io nei miei discorsi più importanti — al Lingotto, al Circo Massimo o al congresso dei Ds che segnò la nascita del Pd — ho sempre cercato di trovare l’armonia tra la ragione e le emozioni. Faticavo tanto per farlo. Mi hanno insegnato così. Qualcosa di profondame­nte diverso dal “ciaone”, insomma».

La sinistra europea appare in drammatica crisi. Non è più un interlocut­ore in campo comunitari­o. C’è una soluzione?

«Forse è il tempo che la sinistra riformista abbia il coraggio di dirsi che non bastano più buoni provvedime­nti e programmi. Ci vuole l’idea di una società nuova. Il socialismo nacque con la rivoluzion­e industrial­e. Un’idea di libertà e giustizia sociale per questo tempo inedito e pericoloso è necessaria. Se non si costruisce una ragionevol­e e appassiona­nte speranza, vincerà la paura».

La paura Sul suo banchetto politico Trump vende, con rapidi slogan, la paura: la merce oggi più spendibile

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(Ap) Il gadget Un venditore di giocattoli alla convention democratic­a Usa con una «scatola magica» da cui spunta il pupazzo di Hillary Clinton

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