Corriere della Sera

«Effetto contagio come nei suicidi. E il web li legittima»

Lo psichiatra Mencacci: chiunque, radicalizz­ato o no, ha la certezza che il suo gesto verrà spettacola­rizzato

- Antonio Ricchio

«Quello a cui stiamo assistendo è un effetto contagio. Un fenomeno già conosciuto nei suicidi». Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatri­a, è convinto che l’emulazione possa essere la chiave per leggere e interpreta­re questa estate segnata da numerosi attentati terroristi­ci.

Qual è il meccanismo che scatta nella mente degli attentator­i?

«Chiunque, indipenden­temente dal livello di radicalizz­azione, può agire avendo la garanzia di vedere il suo gesto spettacola­rizzato in television­e o sulle prime pagine dei giornali. In buona sostanza siamo di fronte all’effetto di esaltazion­e di ogni gesto. Volendo fare un paragone con il passato, si potrebbe ricordare chi andava sui cavalcavia delle autostrade a lanciare sassi sulle automobili in transito».

Come si costruisce l’identità di un terrorista?

«Queste persone iscrivono la loro violenza nella narrativa dello Stato Islamico. Così facendo, ognuno è abilitato a sentirsi soldato o martire. E per la prima volta ci troviamo a raccoglier­e un’identità che arriva dalla Rete».

In tale contesto che ruolo giocano i social network?

«Questo è il primo vero atto di guerra che si combatte in Rete. Le armi sono quelle che danno l’identità di eroi alle persone che agiscono. I social sono diventati il luogo dove si effettua l’addestrame­nto, l’emulazione e dove si ispira l’idea del “suicidio allargato” e dell’atto terroristi­co. Sulle varie piattaform­e è possibile acquistare «È importante trovare una sorta di coscienza collettiva che riduca il perenne stato di allerta» sia una personalit­à che una legittimaz­ione ad agire».

Come ci può difendere?

«Bisogna prendere coscienza che potremmo ritrovarci in qualunque momento in una situazione di pericolo. Poi è importante che venga trovata una sorta di coscienza collettiva in grado di ridurre il perenne stato di allerta in cui viviamo. Faccio un esempio: il linguaggio di chi racconta le tragedie deve ridurre il sensaziona­lismo. Così facendo si evita di trasformar­e gli attentator­i in martiri».

Per fare un paragone col passato si potrebbe ricordare chi andava sulle autostrade a buttare i sassi dai cavalcavia

Francia, Germania e, in tempi meno recenti, Spagna e Gran Bretagna. Il prossimo obiettivo dei terroristi può essere l’Italia?

«Il rischio c’è e riguarda tutti. Ciò che noi possiamo fare è riuscire a sviluppare un comune sentimento europeo. Se dovessi provare a indicare una soluzione direi che l’Europa dovrebbe implementa­re politiche di recupero per i giovani maschi, che sono quelli più a rischio emulazione. So bene che nell’immediatez­za dei fatti è difficile restare lucidi, ma solo guardando lontano è possibile trovare una risposta al fenomeno».

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