«Effetto contagio come nei suicidi. E il web li legittima»
Lo psichiatra Mencacci: chiunque, radicalizzato o no, ha la certezza che il suo gesto verrà spettacolarizzato
«Quello a cui stiamo assistendo è un effetto contagio. Un fenomeno già conosciuto nei suicidi». Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria, è convinto che l’emulazione possa essere la chiave per leggere e interpretare questa estate segnata da numerosi attentati terroristici.
Qual è il meccanismo che scatta nella mente degli attentatori?
«Chiunque, indipendentemente dal livello di radicalizzazione, può agire avendo la garanzia di vedere il suo gesto spettacolarizzato in televisione o sulle prime pagine dei giornali. In buona sostanza siamo di fronte all’effetto di esaltazione di ogni gesto. Volendo fare un paragone con il passato, si potrebbe ricordare chi andava sui cavalcavia delle autostrade a lanciare sassi sulle automobili in transito».
Come si costruisce l’identità di un terrorista?
«Queste persone iscrivono la loro violenza nella narrativa dello Stato Islamico. Così facendo, ognuno è abilitato a sentirsi soldato o martire. E per la prima volta ci troviamo a raccogliere un’identità che arriva dalla Rete».
In tale contesto che ruolo giocano i social network?
«Questo è il primo vero atto di guerra che si combatte in Rete. Le armi sono quelle che danno l’identità di eroi alle persone che agiscono. I social sono diventati il luogo dove si effettua l’addestramento, l’emulazione e dove si ispira l’idea del “suicidio allargato” e dell’atto terroristico. Sulle varie piattaforme è possibile acquistare «È importante trovare una sorta di coscienza collettiva che riduca il perenne stato di allerta» sia una personalità che una legittimazione ad agire».
Come ci può difendere?
«Bisogna prendere coscienza che potremmo ritrovarci in qualunque momento in una situazione di pericolo. Poi è importante che venga trovata una sorta di coscienza collettiva in grado di ridurre il perenne stato di allerta in cui viviamo. Faccio un esempio: il linguaggio di chi racconta le tragedie deve ridurre il sensazionalismo. Così facendo si evita di trasformare gli attentatori in martiri».
Per fare un paragone col passato si potrebbe ricordare chi andava sulle autostrade a buttare i sassi dai cavalcavia
Francia, Germania e, in tempi meno recenti, Spagna e Gran Bretagna. Il prossimo obiettivo dei terroristi può essere l’Italia?
«Il rischio c’è e riguarda tutti. Ciò che noi possiamo fare è riuscire a sviluppare un comune sentimento europeo. Se dovessi provare a indicare una soluzione direi che l’Europa dovrebbe implementare politiche di recupero per i giovani maschi, che sono quelli più a rischio emulazione. So bene che nell’immediatezza dei fatti è difficile restare lucidi, ma solo guardando lontano è possibile trovare una risposta al fenomeno».