La vicenda
La scorsa settimana Stefano Parisi, uscito sconfitto di misura nelle elezioni a sindaco di Milano, dopo un confronto con Silvio Berlusconi si è detto disposto a «dare una mano per rigenerare il centrodestra»
Nei giorni successivi il leader di Forza Italia ha convocato i vertici del partito ad Arcore per sostenere che l’ex amministratore delegato di Fastweb non sarebbe diventato la nuova guida degli azzurri ma che avrebbe lavorato per il futuro dello schieramento
Sia dentro Forza Italia che nella Lega ci sono valutazioni diverse sul ruolo che potrebbe giocare Parisi. Tra gli azzurri, i più perplessi sarebbero il capogruppo alla Camera Renato Brunetta e il governatore della Liguria Giovanni Toti
Nel Carroccio, invece, il presidente della Lombardia Roberto Maroni guarda con interesse all’iniziativa di Parisi, mentre più scettico è il segretario Matteo Salvini
Lunedì ad Arcore c’è stato un nuovo faccia a faccia tra Berlusconi e Parisi (erano presenti anche la figlia Marina e Valentino Valentini). All’ex manager è stato affidato l’incarico di lavorare per l’organizzazione di un nuovo partito che sarà presentato ufficialmente in autunno con una convention
Renzi fa il tifo per Parisi, e Parisi fa il tifo per Renzi. Non è un inciucio, piuttosto è una convergenza di interessi. Perché Renzi ha interesse che Parisi riesca a costruire un centrodestra capace di «contendere voti» ai Cinque Stelle, in modo da depotenziare il Movimento. E Parisi ha interesse che Renzi rimanga a Palazzo Chigi «fino al 2018», così da garantire il tempo necessario al fronte berlusconiano per ristrutturarsi. Certo, tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di incognite che gravano sui destini di chi vorrebbe continuare a fare il premier e di chi aspira a diventare candidato premier. L’esito del referendum costituzionale, la nuova legge elettorale, gli equilibri nelle rispettive aree politiche, sono variabili indipendenti. Però sulle regole d’ingaggio e la necessità di ridimensionare le forze populiste tra i due c’è sintonia. Sul resto si vedrà.
L’«Incaricato» è ancora ai piedi della montagna, anche se può farsi forza oggi del mandato che gli ha conferito l’ex premier e del sostegno che gli garantiscono la famiglia Berlusconi e i vertici aziendali del Biscione. È uno scudo che lo protegge dalla fronda interna a FI, un blocco che Matteoli aveva peraltro visto sgretolarsi già venerdì alla riunione del partito convocata ad Arcore, e dove l’ex ministro si era reso subito conto di esser rimasto (quasi) da solo sulle barricate. La scelta di Berlusconi ha spiazzato la dirigenza azzurra, e il terremoto stava per provocare immediati effetti dirompenti, se è vero che il governatore ligure Toti sarebbe stato sul punto di dimettersi da FI.
Il fatto è che mancava l’appiglio per un simile e clamoroso gesto, dato che Parisi non avrà incarichi di partito, non ne sarà il coordinatore. Ma proprio l’assenza di galloni, per paradosso, diventa una minaccia per tutti i suoi avversari, che vivono questa fase kafkiana con grande preoccupazione.