L’insofferenza di Toti che ha minacciato le dimissioni
Perché, per quanto l’incarico al manager non abbia contorni definiti, l’obiettivo è chiaro: l’area liberal-popolare a cui lavora non ha (né deve avere oggi) il profilo di un nuovo contenitore, però è evidente che in prospettiva rischia di trasformare Forza Italia in una bad company, dove Berlusconi lascerebbe la zavorra prima di lanciare la nuova coalizione. Una federazione.
«Bisogna federare», ha detto infatti il leader azzurro l’altra sera all’«Incaricato», evocando lo schema della vecchia Casa delle libertà. E siccome in quello schema l’area moderata era il perno dell’alleanza, ecco spiegata la reazione del capo del Carroccio, che vede messi a repentaglio la sua strategia e i suoi propositi di primato, indeboliti dal silenzioso quanto progressivo smarcamento della Meloni, a cui non sono piaciute certe uscite di Salvini. Non c’è solo un pezzo di Forza Italia in subbuglio, insomma, anche il leader della Lega deve gestire le tensioni nel partito, testimoniate da Bossi e da Maroni, che ieri ha marcato la distanza dal suo segretario su Parisi, rilanciando quel «modello Lombardia» che comprende in maggioranza anche Ncd. Ora si capisce perché Alfano — nei suoi interventi pubblici — mentre ripete «mai con Salvini», aggiunge sempre che «ben diversa era la Lega di Bossi, capace di incidere sull’agenda politica e nell’azione di governo».
L’effetto domino innescato da Berlusconi ha rotto i vecchi equilibri, al punto che in Forza Italia Miccichè si è preso la briga di difendere il suo storico rivale, «Angelino»: «Il giorno in cui dovessimo chiudere un’alleanza con i centristi — ha detto a Libero — si porrebbe il problema della loro presenza nel governo di Renzi. Quelli del mio partito che il problema lo pongono ora, non mi convincono. Mi sembra una sciocchezza. Abbiamo bisogno del centro e della destra». È la «federazione» a cui