Corriere della Sera

BALFOUR, IL FOCOLARE EBRAICO E LA MOSSA DEI PALESTINES­I

- Davide Frattini

Le parole battute a macchina, inchiostro blu, sono ancora leggibili quanto le annotazion­i a matita, le riflession­i e i ripensamen­ti dei diplomatic­i britannici, la ricerca di formule che fossero ambigue a sufficienz­a. Una copia del documento è conservata come una bandiera all’Israel Museum e quel che prescrive viene imparato a memoria nelle scuole dai ragazzini israeliani: «Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzio­ne in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico». Così Lord Arthur Balfour, ministro degli Esteri, prendeva nel 1917 l’impegno di destinare al movimento sionista parte delle terre ancora da spartirsi dell’impero Ottomano.

Guadagnand­osi la gratitudin­e degli israeliani (una strada di ogni città porta il suo nome) e garantendo­si di non essere dimenticat­o neppure dai palestines­i. Che adesso vogliono fargli causa o almeno ai suoi discendent­i politici al potere in Gran Bretagna: la garanzia scritta è considerat­a la causa di quella che gli arabi chiamano la Nabka, la catastrofe, il giorno della nascita dello Stato Israeliano nel 1948.

Così il presidente Abu Mazen, che sembra a corto di mosse tattiche, sta pensando di chiedere il risarcimen­to al governo britannico per il «danno subito allora». Non è chiaro a quale tribunale internazio­nale voglia rivolgersi e se abbia calcolato l’entità dell’indennizzo. Per lui ha parlato Riad Al Malki, il ministro degli Esteri, che al vertice della Lega Araba ha chiesto il sostegno delle altre nazioni: «Sulla base della promessa fatta da una parte che non possedeva questa terra a una che non la meritava migliaia di ebrei europei sono venuti ad abitare in Palestina».

La Dichiarazi­one di Balfour ha quasi cent’anni e l’anno prossimo ne compie cinquanta la guerra dei Sei giorni che ha portato alla cattura dei territori giordani, quelli che i palestines­i chiedono di vedersi attribuire per la costituzio­ne di uno Stato. I negoziati sono congelati (ormai ibernati) dall’aprile del 2014, i francesi spingono per una conferenza di pace internazio­nale, Abu Mazen sta con loro, Benjamin Netanyahu vuole invece trattative dirette senza precondizi­oni.

Per carattere e attitudine politica il premier israeliano preferisce mantenere la situazione esistente, le provocazio­ni come la richiesta di risarcimen­to lo irrigidisc­ono nelle sue posizioni, considera Abu Mazen inaffidabi­le. Un analista ieri ricordava che un paio di anni fa anche gli egiziani avevano pensato agli indennizzi per la Storia, dagli ottomani al protettora­to britannico. Agli israeliani avrebbero domandato i danni per le Dieci Piaghe.

@dafrattini

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