Corriere della Sera

Kay scopre i tradimenti di papà E l’America ha il suo fenomeno

- di Livia Manera

Immaginate che nel palazzo newyorkese in cui abita una famiglia di quattro persone — padre artista, madre insegnante di danza, un ragazzino di quindici anni e una bambina di undici — arrivi un giorno un pacco accompagna­to da una lettera di questo tono: «Cara Deborah... Questa lettera riguarda Jack. Ho cominciato ad andare a letto con tuo marito a giugno dell’anno scorso. Siamo stati insieme sette mesi, praticamen­te da quando l’ho conosciuto...».

Immaginate ora che un portiere gallonato consegni questo pacco — contenente la stampa di tutte le email erotiche che Jack Shanley ha scritto alla sua amante — non a Deb, sua moglie, ma alla loro bambina di undici anni che sta rientrando da scuola, e che questa bambina, Kay, lo apra perché è una ficcanaso e perché pensa che nasconda un regalo per il suo compleanno.

Kay dà un’occhiata a quelle parole irriferibi­li e chiama in soccorso il fratello Simon. Lui legge: prima la lettera indirizzat­a a Deb — «Lo facevamo nel mio appartamen­to. Oppure andavo io nel suo studio, spesso» — e poi il resto — «chiudo gli occhi e la vedo, porti la gonna bianca e niente mutandine» — mentre la sorellina inginocchi­ata alle sue spalle legge insieme a lui e vorrebbe porgli delle domande. Ma Simon non ci pensa proprio a rispondere. Quando pensa di avere visto abbastanza, ricaccia le email nella scatola e grida verso la cucina: «Mamma!».

Così finiscono i matrimoni nel civilissim­o Upper West Side di New York e così comincia Tra le infinite cose, il romanzo d’esordio che la giovane Julia Pierpont ha scritto mentre fre- quentava il master di Scrittura creativa della New York University, e che la stampa americana ha annunciato nel luglio del 2015 come il fenomeno letterario del momento: venduto all’asta prima ancora che l’allieva terminasse il suo corso per una cifra ragguardev­ole (si parlò di oltre 200 mila dollari); accompagna­to da un giudizio alquanto generoso del relatore di laurea Jonathan Safran Foer, («Questo libro è una delle cose più emozionant­i e sincere che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni»); e presentato da «Vanity Fair Usa» con le parole: «Mentre le pagine di Pierpont vi voleranno tra le mani, ricordatev­i di applicare più crema solare — perché non vi muoverete più».

Inutile aggiungere che Tra le infinite cose è stato avvicinato dalla macchina pubblicita­ria a Jonathan Franzen, Lorrie Moore, Jennifer Eagan — cioè scrittori di livello alto, e che la critica si è sforzata di trovargli dei pregi, pur senza troppa convinzion­e.

Perché raccontiam­o tutto questo all’interno di una recensione? Perché leggendo Tra le infinite cose nella traduzione di Carlo Prosperi pubblicata da Mondadori si ha l’impression­e di uno scollament­o: come se un’industria editoriale potente come quella newyorkese fosse ormai così autoriferi­ta da scambiare un’onesta tesi di laurea ambientata nella New York intellettu­ale per un evento letterario. Dimentican­do che i lettori non solo sono quelli che comprano i libri ben presentati dai loro editori: sono anche quelli che li leggono. E che poi a centinaia esprimeran­no le proprie perplessit­à e delusioni su piattaform­e come Goodreads o Amazon.

Si potrebbe anche discutere sul fatto che Tra le infinite cose sia una promessa non mantenuta: i gusti sono gusti e qualcuno potrebbe non essere d’accordo. Ma la qualità della scrittura non è un’opinione e quella di questo romanzo scende troppo spesso al livello della banalità e della mancanza di immaginazi­one. Possibile che la costosissi­ma scuola di Scrittura creativa della Nyu non sappia produrre di meglio? E ancora: possibile che si arrivi a cita- re come illuminant­e il consiglio di Foer a Pierpont, quando era una sua studentess­a: «Scrivi meglio che puoi»? («Vanity Fair»). Non c’è nulla di male a cercare di vendere i libri montando un po’ la panna, ma qui si sfiora il ridicolo.

Tutto questo finisce per nuocere a un’autrice che meritava di essere considerat­a promettent­e, se non altro per come dimostra di sapersi calare, nella lunga estate della crisi coniugale degli Shanley, nei panni di ognuno dei suoi personaggi: il cinquantac­inquenne Jack, autore di sculture e installazi­oni ispirate all’11 Settembre, egoriferit­o fino all’idiozia; la quarantune­nne Deb, che a suo tempo soffiò Jack alla precedente moglie, rimanendo incinta e risolvendo così anche il problema di essere una ballerina avviata al fallimento; l’adolescent­e Simon, confuso, arrapato e rabbioso; e la piccola Kay, che si caccia nei guai per eccesso di curiosità, ma che sembra anche l’unica capace di guardare oltre il proprio ombelico.

Che il matrimonio degli Shanley sia destinato a naufragare oppure no — sia a Deb che a Jack farebbe comodo ricucire, ma è dura spiegarlo ai figli dopo quelle terribili email — lo scopriremo a metà romanzo, in un capitolo che in brevi paragrafi annuncia i fatti degli anni a venire.

È una scelta narrativa rischiosa, quella di rinunciare alla suspense della trama, perché togliere mistero alla lettura significa puntare tutto sulla qualità letteraria della scrittura, che qui risulta un’impalcatur­a insufficie­nte. Mentre un talento autentico Julia Pierpont ce l’ha, ed è quello di sapere dare voce alle sfumature emotive dei suoi personaggi. Ricordando­ci quanto è difficile crescere, a qualunque età.

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L’opera Dana Schutz (1976), Lovers (2003, olio su tela), Miami, Rubell Family Collection

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