Lingue, regioni, politiche diverse Così è nata la letteratura italiana
Dal Duecento al Novecento: i grandi autori, il loro pensiero, la nostra storia Un percorso di straordinaria ricchezza culturale attraverso otto secoli
Durante lo scorrere di otto secoli, dal Duecento a oggi, le strutture politiche, economiche e sociali della civiltà italiana sono inevitabilmente confluite nella letteratura, luogo eletto ove hanno trovato modo di coesistere le esperienze più importanti di molteplici discipline e conoscenze. Così l’evento letterario è divenuto il punto centrale di vari saperi, fra loro intrecciati, quali filosofia, storia, geografia, scienza, antropologia, arte, psicologia, musica. Tale processo risulta evidente grazie all’analisi dei classici della nostra letteratura, linguisticamente — e non solo — figlia di quella latina. Come del resto accadde per la genesi di tutte le altre lingue romanze.
È la continuità innegabile di una cultura che non si era mai completamente spenta né dinanzi alla fine dell’Impero romano né durante il Medioevo. Le radici della letteratura italiana e del pensiero occidentale affondano perciò in un humus
già ampiamente fecondato dai classici greci e latini. È da loro che i nostri scrittori traggono alimento. È contro di loro che si ribellano. È con loro che conversano sottotraccia, dando vita a capolavori nei diversi volgari e di seguito in lingua italiana.
Tutto inizia con un rapporto ambivalente. Agli autori greco-latini, dopo averli introitati, è stato necessario volgere le spalle senza rimorsi, per poi tornare di nuovo a confrontarsi. Sta nell’ordine delle cose che avvengano processi sociali di forte cambiamento, i quali contribuiscono nel dar vita a nuove forme linguistiche. L’organizzazione in Sicilia del primo Stato moderno d’Europa, fondato da Federico II di Svevia, corrisponde al sorgere di un clima culturale radicalmente lontano dalla società feudale, che permette a Iacopo da Lentini di inventare il sonetto e comporre raffinati versi su tematiche amorose per allietare la corte. Con lo sviluppo di inattesi impulsi economici e desideri di libertà di espressione, la nascita del potere dei Comuni conduce alla volontà di esprimere l’autonomia raggiunta attraverso il dialetto, strumento di pensiero e lingua di una nuova società cittadina. Si pensi inoltre alla reazione contraria all’emergente ceto mercantile di quei movimenti etico-religiosi che stanno dalla parte dei più poveri, dannati dalla Chiesa col marchio ereticale e combattuti anche con la creazione degli ordini mendicanti. In una società schiava della violenza e del disprezzo per povertà e debolezza trovano spazio, pur con difficoltà, la letteratura dell’amore disinteressato verso il prossimo, cantato da Francesco d’Assisi, e le laudi di Iacopone da Todi nel vernacolo umbro. Mentre la rivoluzione del «dolce stil novo» di Guinizzelli e Cavalcanti prepara la strada a Dante, ineguagliato esempio di intellettuale capace di innalzare il proprio volgare a lingua della letteratura nazionale.
Pare giusto sottolineare come le profonde diversità costituiscano per assurdo la trascinante forza della storia regionale d’Italia. Proprio a differenza degli altri Paesi, che ebbero in breve unità politica e linguistica. Nella storia della letteratura italiana si assiste a una sorta di partita a tennis senza fine: da un lato adesione ai modelli tradizionali, riscoperta e imitazione dei classici, dall’altro rivoluzione contro i canoni imposti, volontà di cancellare il passato e di scompaginare le connessioni tra forma e contenuto. In tale senso Petrarca e gli umanisti recuperano il latino e fondano gli studi filologici, mettendo l’uomo al centro dell’universo al posto del divino. Enrico Malato afferma nella premessa alla Storia della letteratura italiana, da lui curata: «La conoscenza del documento (…), prima e oltre che nei suoi valori formali e strutturali, e in ragione di questa, sarà dunque preliminarmente e precipuamente una conoscenza storica, che tenderà a collocare l’opera nel “quadro storico” complessivo della società che l’ha prodotta, nel contesto dei fermenti culturali, delle sollecitazioni, delle istanze di cui l’opera stessa si è fatta interprete».
È quindi possibile analizzare gli otto secoli della letteraDe tura italiana alla stregua di un viaggio a tappe nell’alveo della conoscenza storica, che vede protagonisti pensatori come Machiavelli, Giordano Bruno, Galilei, Vico, Beccaria, accanto ad autori di poemi quali Boiardo, Ariosto, Tasso, Marino. E i grandi innovatori di teatro Goldoni, Pirandello, Eduardo Filippo, Dario Fo. E quindi l’etica di Parini, la poesia civile di Foscolo, lo scrupolo del «vero» storico in Manzoni, l’infinità cosmica e la dignità umana in Leopardi. E ancora il verismo pessimista di Verga, la poetica del fanciullino in Pascoli, l’estetismo di D’Annunzio. Per giungere al Novecento con Marinetti e Montale, Ungaretti e Quasimodo, Rebora e Pavese, Pasolini e Luzi.
Il percorso da compiere è davvero affascinante, perché i classici indicano al lettore un plausibile senso dell’esistenza umana, spiegano l’amore, la morte, la speranza o meno di tendere verso l’infinito, senza per questo ripudiare la caduca materialità della carne. Eternamente viva resta la presenza dei grandi autori, prima e dopo di noi. Conoscere la genesi e il contesto di riferimento delle loro opere è un passaggio necessario alla formazione di ogni cittadino italiano.
Tradizione Da un lato si assiste all’adesione dei classici, dall’altro alla volontà di cancellare il passato