Arriva il film sui «giovani adulti», campione di incassi all’estero
C’è la sindrome del nido vuoto e quella del nido pieno. Anzi strapieno, visto che ormai sempre più si finisce per ritrovarsi tutti sotto lo stesso tetto, quello dei genitori. Perché, anche quando se ne vanno, i figli hanno spesso il volo corto. E non si fa in tempo a riassestare la casa che quelli già bussano di nuovo alla porta. Non per nostalgie furibonde del focolare, ma perché la vita ha deciso altrimenti. Perché nell’epoca della precarietà a oltranza tutto, dal lavoro ai rapporti di coppia, dura quel dura. E quando finisce uno si ritrova in braghe di tela, senza presente, senza futuro. Solo con quel brandello di passato che è la famiglia d’origine. Dove un padre, una madre, un nonno, sono sempre pronti ad accoglierti, a ridarti quello che avevi lasciato.
Succede così anche a Stéphanie, brillante architetto quarantenne che di colpo si ritrova senza marito, senza impiego, senza neanche il figlio, affidato al padre perché lei non ha modo di ospitarlo. Il solo indirizzo che le resta è quello della madre. «Una scelta obbligata comune a tanti “giovani adulti”, la cosiddetta “generazione boomerang”» assicura Éric Lavaine, regista di Torno da mia madre, commedia sociale in testa ai botteghini francesi e dal 25 agosto distribuita in Italia da Officine Ubu. Protagoniste-antagoniste, Alexandra Lamy nel ruolo della figlia e Josiane Balasko in quello della madre.
«È un fenomeno diffuso nell’Europa del Sud — riprende Lavaine —. In Francia si calcola siano circa 400 mila le persone tornate all’ovile in età matura e per forza maggiore». Le conseguenze sono spesso imprevedibili. L’effetto boomerang, se non si è lesti a schivarlo, può provocare bernoccoli dolorosi. Così il ritorno di Stéphanie innesca regressioni a catena, riannodando il tempo all’indietro: la madre è felice di riaverla con sé ma la tratta da bambina, le prepara la colazione, la sgrida se non usa il coltello giusto per spalmare il burro, le chiede a che ora rientrerà alla sera. Da parte