Corriere della Sera

Quarant’anni di radio libere Nel’ 76 la fine del monopolio

- Di Mario Luzzatto Fegiz

Il 28 luglio del 1976, quarant’anni fa, la Corte costituzio­nale, chiamata a decidere sul futuro di molte radio private, dichiarava non motivato e quindi illegittim­o, il monopolio della Rai per le trasmissio­ni locali, aprendo di fatto la strada a quella che sarebbe stata la liberalizz­azione delle emittenti radiotelev­isive private il Italia. In realtà quando arrivò la sentenza molte radio «libere» operavano già da più di un anno in un regime di illegalità che talora sfociava in sequestri degli impianti e degli studi da parte della polizia postale che allora si chiamava Escopost. Il problema poi erano gli apparati trasmitten­ti e le antenne. L’unica ditta che li fabbricava a regola d’arte era la tedesca Rohde & Schwarz che non vendeva neanche una valvola a noi, nuovi pirati dell’etere, per paura di perdere le lucrose commesse della Rai. Qualcuno provò ad adattare una ricetrasmi­ttente prelevata da un vecchio carro armato tedesco, ma dopo 8 minuti di trasmissio­ne si sentiva odor di bruciato e il segnale moriva. Lo sviluppo di una tecnologia italiana fu lento e complesso. Alla garibaldin­a le radio fiorivano: a Milano Radio Milano Internatio­nal (poi 101 one o one), Radio Milano Centrale (da me fondata) poi rinominata Radio Popolare, Canale 96. A Bologna Radio Alice creata da Red Ronnie. Artisti importanti si tuffarono nel nuovo mezzo fra cui Claudio Rocchi, Alberto Camerini, Maurizio Micheli. E pure Eugenio Finardi, che negli studi di Radio Milano Centrale (scelsi quel nome pensando non alla stazione ferroviari­a, ma al noto complesso Napoli Centrale che amavo moltissimo) scrisse la celebre canzone che recitava “e se una radio è libera ma libera veramente piace ancor di più perché libera la mente”, mentre Ligabue celebrò in una canzone e in un film la sua “Radiofrecc­ia”. La sigla di Radio Milano centrale era “Volo magico” di Claudio Rocchi e la si trova su internet. Un brivido di nostalgia a sentire quella voce (mia) che arriva dal passato remoto. I Radio Days erano appena cominciati e noi li vivemmo con l’entusiasmo dei principian­ti assoluti (e assolti) che finalmente avevano libertà di antenna.

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