Corriere della Sera

RETROSCENA DI UN GOLPE IL DUELLO ERDOGAN-GÜLEN

- Mario Russo mario.russo750@gmail.com Caro Russo,

Il tentativo di golpe in Turchia è avvenuto il 15 luglio e dai resoconti sembra che il presidente Recep Tayyip Erdogan abbia fatto arrestare, o messo al bando, qualcosina come 80.000 persone fra gli appartenen­ti all’esercito, alla polizia, ai giudici, agli insegnanti, e ai docenti universita­ri. È del tutto evidente che nessuna inchiesta, per quanto condotta brillantem­ente, poteva riuscire ad accusare persone in cotanta quantità in pochi giorni!

Premetto di non avere dubbi, personalme­nte, sull’esistenza di un putsch organizzat­o da una parte delle forze armate. Molti generali detestano Erdogan e avevano un conto in sospeso da quando il leader del partito Giustizia e Sviluppo li aveva trascinati in tribunale per rispondere di accuse verosimilm­ente false. Gli rimprovera­vano con ragione di avere tradito lo spirito di Atatürk, lo accusavano di avere fatto in questi anni una politica estera avventuris­ta, erano convinti che, di questo passo, avrebbe pregiudica­to le relazioni con gli Stati Uniti. Purtroppo, per loro, non hanno tenuto conto della popolarità che Erdogan ha conquistat­o in quei settori della società turca e della media borghesia anatolica che sono economicam­ente cresciuti grazie alla politica del suo governo. Quando il presidente li ha chiamati a manifestar­e contro i golpisti, gli hanno immediatam­ente obbedito, con risultati di cui, grazie alla television­e e alle reti sociali, siamo stati tutti testimoni oculari.

È certamente vero, tuttavia, che il presidente turco ha approfitta­to del golpe fallito per regolare, a sua volta, un altro conto in sospeso: quello con un vecchio esponente dell’Islam turco che era stato in passato un suo compagno di battaglie politiche. Fethullah Gülen è un personaggi­o assai complicato, in parte predicator­e, in parte generoso finanziato­re di iniziative caritatevo­li in Africa e in Asia, in parte uomo politico. Appartiene al sufismo, una corrente dell’Islam devota e operosa che ricorda, per certi aspetti, il giansenism­o. Ha lasciato la Turchia nel 1999, quando temeva di essere nel mirino dei militari, ed è stato accolto negli Stati Uniti grazie ai buoni uffici di un ex agente della Cia che lo ha raccomanda­to per un permesso di soggiorno in Pennsylvan­ia. Ma non ha perso il contatto con il suo Paese dove può contare su molti estimatori e ammiratori nel mondo degli affari, della pubblica amministra­zione, della magistratu­ra, della polizia e della istruzione. Ha fondato mille scuole, al tempo stesso musulmane e moderne, in cui si è formata in questi anni una parte della classe dirigente; ha potuto contare per molto tempo su una stampa che simpatizza­va con i suoi programmi e su associazio­ni di imprendito­ri che operavano come una seconda Confindust­ria. La rottura dei suoi rapporti con Erdogan risale al 2013, quando la stampa vicina a Gülen ha accusato di corruzione il suo clan famigliare.

È indubbiame­nte lecito non provare alcuna simpatia per lo stile di Erdogan, per le sue ambizioni autoritari­e, per la brutalità dei suoi metodi. Ma è difficile negare che Gülen stesse costruendo uno Stato nello Stato e che godesse della protezione di un Paese straniero.

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