A New York il gruppo Suning ha ribadito al tecnico fiducia ma pure fair play e no al rinnovo contrattuale ora
Mancio è in palestra, Mancio sorride, Mancio fa jogging, Mancio allena la squadra. Una normale giornata da tecnico dell’Inter, che però una squadra normale non è. Così il punto vero è un altro: Mancio è andato o no alla cena di gala con la dirigenza del club? Poiché era programmata alle 21 di New York, le nostre 3 di notte, dobbiamo ancora scoprirlo, ma è chiaro che questo sarà uno dei punti di snodo della tragicommedia estiva nerazzurra.
Mentre ieri Roberto Mancini svolgeva il suo lavoro quotidiano con la squadra — che oggi giocherà in amichevole contro l’Estudiantes (ore 20 locali, le 2 italiane, diretta tv Sky Sport 3) — si teneva infatti la prima delle tre giornate di «Manager meeting», la mega riunione programmatica del management. Nella stessa sala il gruppo dei «thohiriani» e lo staff Suning guidato dal figlio del capo Zhang Jindong, Steven — il 25enne futuro candidato alla presidenza — e gli operativi del gruppo Ren Jun e Yang Yang. Che il numero uno di un colosso che ha appena comprato l’Inter non sia presente a una riunione così importante non è un gran segnale, ad ogni modo è con gli uomini Suning che Mancini prima o poi dovrà avere un contatto. E da quello deriverà la sua decisione: dimettersi, cercare una difficile transazione o provare a continuare, forse indebolito.
I concetti di fondo che Suning presenterà all’allenatore non saranno diversi da quelli illustratigli da Thohir sabato a Portland: fiducia totale nei di poter produrre in altro modo i 30 milioni di plusvalenza mancanti da qui a fine anno.
A mezzanotte italiana poi, attraverso Inter Channel, il club ha reso pubbliche alcune dichiarazioni distensive di Erick Thoir: «Mancini è il nostro allenatore, qui negli Usa sta lavorando sul campo e anche con il management: credo molto nel suo lavoro». ET ha pure chiarito che Icardi non si vende (come si legge a fianco) e ha rilanciato l’immagine di una società unita e felice: «Credo molto nella struttura del management, lavoriamo come un unico team, non in maniera individuale per rinforzare la squadra: abbiamo ceduto alcuni giocatori e portato nuovi acquisti validissimi. È abbastanza? No, Suning e noi come dirigenza vogliamo rafforzare la squadra ancora di più per essere competitivi in serie A e raggiungere i nostri obiettivi, tra cui il ritorno in Champions League».
Di fronte a queste promesse Mancini potrebbe ammorbidirsi, anche se resta irrisolto il nodo rinnovo. L’atto di fiducia di un prolungamento, infatti, fugherebbe un’altra sua fondata preoccupazione: restare a lavorare un anno e poi, come beffa, non venire riconfermato e consegnare il frutto del suo lavoro (sperabilmente il posto in Champions) a un altro allenatore, magari al Simeone che piace tanto a Zanetti. Insomma, sorriderà anche Mancini, ma prima della cena, ieri, per lui non c’era alcuna vera novità. E la partita del futuro restava ancora tutta da giocare.