Giovane nero ucciso Video choc negli Usa
L’auto rubata, gli spari, poi il giovane in manette anche se privo di vita. Sospesi gli agenti
NEW YORK L’inseguimento di una Jaguar nera rubata. I poliziotti di Chicago che sparano contro l’auto in fuga e poi, dopo averla speronata, inseguono e uccidono il ragazzo nero che la guidava: il 18enne Paul O’Neal, che aveva continuato a cercare di sottrarsi alla cattura, ma era disarmato. Le immagini mozzafiato delle «body camera» delle pattuglie descrivono una realtà che le polizie d’America hanno considerato per decenni normale e della quale fin qui l’opinione pubblica è stata informata in modo molto mediato: la reazione violenta degli agenti a chi si ribella alle forze dell’ordine, anche se fugge e non rappresenta una minaccia diretta per i poliziotti.
Ma con l’introduzione delle minitelecamere tutto è cambiato: opinione pubblica in rivolta in mezza America e polizia sul banco degli imputati. Chicago è, forse, il nodo più difficile di questa crisi esplosa due anni fa dopo l’uccisione di Michael Brown a Ferguson. A Chicago, la metropoli più violenta d’America con tasso di omicidi quattro volte più alto di quello di New York, la polizia è famosa per i modi brutali usati soprattutto nei confronti della comunità afroamericana fin dagli anni Settanta.
Nella metropoli dell’Illinois la scintilla era stata l’uccisione di Laquan McDonald, un ragazzo disarmato al quale un poliziotto aveva sparato per ben 16 volte. L’episodio è di quasi due anni fa, ma il video che inchioda l’agente Jason Van Dyke (ora incriminato per omicidio) è saltato fuori solo 8 mesi fa, anche se la polizia lo aveva fin dall’inizio.
Qualche mese fa il sindaco della città — l’ex braccio destro di Obama, Rahm Emanuel — aveva cercato di ricreare un rapporto di fiducia tra cittadini e forze dell’ordine mettendo alla guida del corpo un poliziotto nero con 27 anni di esperienza, Eddie Johnson. Accolto da molti giudizi ingenerosi, addirittura sprezzanti: «Non ce la farà: non ha la credibilità né il polso per tenere in pugno i 12 mila agenti che devono far rispettare la legge in una città nella quale nell’ultimo anno gli omicidi sono aumentati dell’80 per cento». Critiche spesso provenienti dai repubblicani che hanno dato un valore simbolico al fatto che la nuova eruzione della criminalità sia avvenuta proprio nella città di un presidente democratico e nero. L’episodio emerso ieri è tremendo, ma può anche segnare una svolta: le immagini e i dialoghi mostrano agenti di varie razze (anche neri) che inseguono, sparano all’auto in fuga da varie direzioni, la bloccano provocando uno scontro frontale e poi freddano il ragazzo che ha abbandonato il veicolo e scappa via (gli ultimi spari, quelli mortali, non sono stato ripresi ma si sentono). Poi lo ammanettano nonostante sia ormai privo di vita e discutono tra loro, come per una qualunque operazione di polizia. A differenza dell’Europa, in America gli agenti hanno da sempre il grilletto facile e si sentono autorizzati a usare la forza contro ogni ribellione ai loro ordini. Ma le norme di Chicago vietano esplicitamente di sparare contro una vettura se essa non rappresenta un pericolo immediato.
Ora tre agenti sono stati sospesi in attesa delle indagini e i responsabili della polizia parlano di uso eccessivo della forza. Il dato positivo è che stavolta l’«authority» che gestisce i video degli agenti (un organo della polizia ma guidato da un civile indipendente a garanzia della collettività) ha rilasciato molti filmati pochi giorni dopo l’episodio (che risale al 28 luglio). Il segno di un cambio di clima, anche se l’avvocato della famiglia O’Neal che ha parlato di «uccisione a sangue freddo di agenti che hanno deciso di essere giudici, giuria e boia tutto insieme» denuncia la misteriosa scomparsa delle immagini cruciali della morte del giovane.