Corriere della Sera

Caprotti, continua la guerra dei ricorsi. In Cassazione

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(c.d.c.) Dura dal 2011 la battaglia legale dei Caprotti, la famiglia dell’Esselunga. E a quanto pare non è ancora finita. I primi due figli di Bernardo Caprotti (nella foto), il 91enne fondatore dell’impero dei supermerca­ti, hanno fatto ricorso in Cassazione dopo aver perso lo scorso 19 maggio il giudizio in appello che aveva confermato l’esclusiva presa del capostipit­e sul gruppo. E gli avvocati di Caprotti senior sono già pronti al contro ricorso. Tutto ha inizio nel 1996 con una scrittura privata tra Bernardo Caprotti e i figli in cui si stabiliva che le azioni del gruppo erano intestate a Violetta e Giuseppe in via meramente fiduciaria e potevano essere reintestat­e al padre senza alcun avviso o preavviso, con una semplice comunicazi­one alla società fiduciaria. In quell’anno Caprotti aveva deciso di procedere a una razionaliz­zazione del gruppo: con una serie di operazioni, il 92% della holding che controlla Esselunga è diventato di proprietà di Unione Fiduciaria, che aveva ricevuto mandati fiduciari di gestione dai tre figli. Lo scopo era trasmetter­e ai discendent­i buona parte del patrimonio come anticipo sull’eredità. La scrittura privata attribuiva la holding, formalment­e intestata a Unione Fiduciaria, in usufrutto al padre e ai figli in proprietà. E così è stato fino al 2011 quando Bernardo Caprotti ha chiuso il contratto fiduciario e ha ripreso il pieno controllo delle azioni di Supermarke­ts Italiani. Da allora è proseguita una guerra a suon di carte bollate senza soluzione di continuità. Fino alla sentenza che a maggio ha dato ragione a Caprotti senior. Ora il ricorso dei figli, che arriva proprio nei giorni in cui si torna a parlare di una possibile cessione del gruppo a fondi di private equity. In pole position ci sarebbero Cvc e Blackstone.

E per l’olio Dante, concordato e un fondo per il rilancio

(d.pol.) Hanno inciso gli acquisti a raffica di marchi di pregio come Dante, comprato per 30 milioni sette anni fa dalla spagnola Deoleo, Topazio, Oio e Gico (da Giulio Malgara), Minerva e Lupi (Carapelli) e Olita (Star) e le successive difficoltà del settore oleario. Così l’Oleificio Mataluni di Benevento, 90 milioni di ricavi che ne fanno la più grande realtà del Sud nella trasformaz­ione e vendita di olio, si appresta a depositare in Tribunale il ricorso per l’omologa della ristruttur­azione ex articolo 182 bis. È una manovra impostata dal fondatore Biagio Mataluni e dal figlio Flavio per mettere in sicurezza la realtà industrial­e che registra 60 milioni debiti con il ceto bancario e altri 25 con i fornitori. Il piano ha già incassato il via libera dagli stessi fornitori e dalla quasi totalità delle banche. Ora bisogna mettere un po’ d’ordine nella finanza perché lo shopping di marchi non è stato sorretto da una struttura adeguata. Poi bisognerà rafforzare il capitale. Ma il progetto è già stato impostato dagli advisor finanziari dello studio di Mario Porcaro e dai legali di Munari Cavani con Francesca Broussard in un’operazione ponte per il rilancio. Nuova finanza per circa 20 milioni verrà fornita dal fondo inglese Attestor capital con il coordiname­nto di Oxy management. I mercati esteri, Stati Uniti e Giappone, saranno il perno della nuova crescita.

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