Corriere della Sera

«È una guerra atomizzata Stiamo imparando il coraggio di vivere come prima»

Il grande scrittore spagnolo: libertà o sicurezza? Ci sono valori che non possiamo avere in forma assoluta

- di Elisabetta Rosaspina

Si vive sotto scorta, perfino in spiaggia.

«Beh sì, è vero. Che altro potrei aggiungere io? Vivere così è proprio un fastidio, per me come per tutti».

Dal paesino in cui trascorre la vacanze, vicino alla Costa Brava, lo scrittore e saggista spagnolo Javier Cercas, autore di grandi successi editoriali, come «Soldati di Salamina», «Anatomia di un istante» (la storia del fallito colpo di Stato in Spagna nel 1981) e «L’impostore» (tutti pubblicati in Italia da Guanda) non vede alternativ­e all’ingombrant­e presenza di agenti e militari, accanto a famigliole e bambini con il secchiello, sulle spiagge del Mediterran­eo.

«Nei nostri paesi, in Spagna, in Francia, in Italia o in Germania c’è gente che sta cercando di farci del male. È un fatto. Una volta si sarebbe detto che la paura è lo strumento usato dal potere per tenere la gente sotto controllo. Ma adesso non si può affermare altrettant­o. Ci sono ragioni serie, non sono pretesti, per temere per la nostra sicurezza. La sicurezza di chiunque, perché tutti siamo potenziali obiettivi. Soprattutt­o là dove c’è un assembrame­nto: nella folla radunata per una festa o per uno spettacolo, o in riva al mare, i terroristi vedono l’occasione ideale per uccidere il maggior numero di persone. In Spagna abbiamo a che fare da decadi con il terrorismo. Ma gli attentati dell’Eta erano un’altra storia».

Perché?

«Per cominciare, i terroristi dell’Eta non volevano morire anche loro. Né essere catturati. Ma in ogni caso volevano sopravvive­re alle loro azioni. Ai nuovi terroristi invece non importa di morire. Diventa ancora più difficile, quindi, trovare un punto di equilibrio accettabil­e fra l’esigenza di sicurezza e le libertà individual­i. Esistono valori molto buoni di per sé, ma che non si può ottenere in forma assoluta. Se è vero che l’uguaglianz­a assoluta uccide la libertà, e viceversa, lo stesso vale per la sicurezza. Vorremmo tutti godere di maggiore libertà, ma siamo in guerra. Sì, è una guerra: diversa da quelle tradiziona­li, sebbene in Siria o in Iraq un fronte esista ancora. Qui da noi è una guerra atomizzata. Forse è questa la Terza guerra mondiale che non ci immaginava­mo».

Si temeva un conflitto globale anche nel 2001, dopo gli attentati di New York e in Pennsylvan­ia. Però gli obiettivi sensibili da sorvegliar­e erano diventati gli aeroporti, le stazioni ferroviari­e, dopo l’attacco ad Atocha del 2004, le caserme, i centri commercial­i. Si può accettare di sentirsi in pericolo pure in spiaggia a Ferragosto?

«Certo. Perché no? Hanno ucciso un prete nella sua chiesa, hanno assassinat­o intere famiglie che guardavano i fuochi d’artificio sul lungomare di Nizza. Potrei dirmi di sentirmi al sicuro, in questo piccolo villaggio nell’entroterra della Costa Brava, ma non ne sono più tanto sicuro. Io non sono un esperto di terrorismo, non conosco il protocollo delle loro azioni, ma evidenteme­nte ce n’è uno. Che non esclude le chiese e nemmeno spiagge. Ma non c’è dubbio: dobbiamo continuare ad andare al mare, esattament­e come prima. Vivere come prima. Accettando però le misure di sicurezza, la presenza dei militari e delle guardie armate tra i bagnanti, con tutto il fastidio che ciò può

Lo sprezzo della morte Gli attentati dell’Eta erano un’altra storia: ai nuovi terroristi non importa di morire

comportare».

Posti di controllo, perquisizi­oni a pochi metri dagli ombrelloni sono un promemoria costante del pericolo invisibile che incombe: insomma, bisogna abituarsi a convivere con la paura?

«Rispondo con il Giulio Cesare di William Shakespear­e: “Il codardo muore molte volte in vita sua, il coraggioso muore quell’unica volta”. Intendo dire che no, naturalmen­te non si

Punto d’equilibrio Dobbiamo accettare la presenza dei militari con tutto il fastidio che ciò comporta

può vivere nel terrore. Sarebbe una sconfitta, l’opzione peggiore. Dobbiamo accettare il fatto che un attentato può capitare ovunque e colpire chiunque, perché tutti ne siamo bersagli. Tutti siamo possibili vittime in questa guerra. Se deve succedere, succederà. Bisogna fare il possibile per proteggers­i e poi non pensarci. Perché, come diceva il filosofo tedesco Walter Benjamin, essere felici vuol dire essere capaci di diventare autoconsap­evoli senza avere paura. Non vale forse anche per il mondo in cui viviamo?».

Shakespear­e come motto In Giulio Cesare dice: «Il codardo muore molte volte, il coraggioso quell’unica volta»

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