Corriere della Sera

Contratti, 8 milioni di lavoratori in attesa

Il nodo metalmecca­nici e i fondi ridotti per gli statali, I sindacati chiedono aumenti per sette miliardi in tre anni

- Enrico Marro

ROMA Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, qualche mese fa, a sorpresa, ha deciso di recuperare il rapporto con i sindacati, fino a quel momento ignorati. È partita così una trattativa ad ampio raggio con Cgil, Cisl e Uil su pensioni e mercato del lavoro e lo stesso Renzi ha fatto importanti aperture.

Dalla promessa di «più denari» per il rinnovo dei contratti pubblici dopo «sette anni senza aumenti di stipendio» all’affermazio­ne, nei giorni scorsi, della necessità di trovare più risorse da mettere sulle pensioni «a partire dalle minime». Solo che ricucire costa moltissimo, anche facendo la tara ai sindacati che vorrebbero almeno 2,5 miliardi di euro di stanziamen­ti per le pensioni e non meno di 7 miliardi in tre anni sui contratti pubblici.

I maligni dicono che il premier è in campagna elettorale, tuttavia, a prescinder­e dal referendum sulla riforma della Costituzio­ne, il governo avrebbe comunque dovuto affrontare i contratti pubblici e la flessibili­tà in uscita sulle pensioni. Sui primi c’è addirittur­a una sentenza della Corte costituzio­nale (la 178 del 24 giugno 2015) che

impone il rinnovo. Sulla seconda sono i fatti a premere per consentire le uscite anticipate, come del resto il governo ha già deciso per i bancari (fino a 7 anni prima), per gestire meglio le ristruttur­azioni aziendali, tanto più che dal 2017 non ci sarà più l’indennità di mobilità.

La questione del rinnovo dei contratti pubblici si trascina dalla fine del 2009 quando è scaduto l’ultimo rinnovo. Dopo la sentenza della Consulta, il governo ha stanziato la cifra simbolica di 300 milioni. Il rinnovo dei contratti riguarda circa 3 milioni di lavoratori accorpati, in seguito alla riforma Brunetta, in 4 comparti (prima

erano 11) più la presidenza del Consiglio: 1) Enti centrali (ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici); 2) Autonomie locali (Regioni e province); 3) Sanità; 4) Conoscenza (scuola, ricerca e università). «Le piattaform­e unitarie sono pronte — spiega il segretario della Funzione pubblica Cisl, Giovanni Faverin — e prevedono in media un aumento per il triennio di circa 150 euro, comprensiv­o di tutto», cioè «tenendo conto che i dipendenti pubblici, solo in rapporto all’Ipca, l’inflazione al netto dei beni energetici importati, hanno perso più del 10% negli ultimi 7 anni», dando un contributo forte al taglio della spesa pubblica, come afferma anche il Def (Documento di economia e finanza) dove il governo spiega che la spesa per i dipendenti pubblici è calata tra il 2009 e il 2015 di 10 miliardi, sia per il blocco dei contratti sia perché il numero dei lavoratori è sceso di 110 mila (blocco del turn over).

Faverin sostiene che per un rinnovo integrale dei contratti pubblici sono necessari, «nel triennio, fra i 7 e gli 11 miliardi». Il presidente della Commission­e Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), è prudente: «Servono nuove risorse perché con 300 milioni non si fa nulla, ma scaglionat­e. L’importante è aprire il tavolo, poi si può partire dalle questioni normative, inquadrame­nti, scatti di anzianità e quindi affrontare la parte economica».

Tradotto: nel primo anno può bastare poco ma comunque nel triennio ci vogliono alcuni

miliardi. Una bella grana per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. La collega della Pubblica amministra­zione, Marianna Madia, ha promesso che a settembre si partirà, ma la questione dei contratti rischia di diventare incandesce­nte anche perché si sta inceppando pure il meccanismo di rinnovo dei contratti privati. La vertenza simbolo, quella dei metalmecca­nici, si è incattivit­a e si preparano altri scioperi. L’Istat ha certificat­o a giugno in 50 i contratti in attesa di rinnovo relativi a 8,2 milioni di lavoratori, compresi quelli pubblici. La Uil ha calcolato che, coi contratti che scadranno nei prossimi mesi, il totale salirà a 12 milioni. Il meccanismo si è inceppato perché con la deflazione (prezzi in calo) le aziende sostengono che il potere d’acquisto è tutelato e non c’è ragione di dare aumenti di salario per questa voce mentre sarebbe logico darli solo in azienda in relazione alla produttivi­tà. Ma i sindacati non vogliono rinunciare al contratto nazionale. Il 1° settembre ci sarà un vertice tra il presidente della Confindust­ria, Vincenzo Boccia, e i leader di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Si partirà da qui.

Il governo È stato ipotizzato un intervento da 300 milioni. Damiano: servono nuove risorse L’appuntamen­to Il 1° settembre vertice tra i leader di Cgil, Cisl e Uil e il presidente della Confindust­ria

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