Milano a Ferragosto Una terra di marziani
Mi pareva impossibile che tanto deserto a Milano fosse dovuto soltanto a Ferragosto. Di Ferragosti a Milano ne ho vissuti a decine, lontani e vicini, mai però mi era toccato di assistere a uno spopolamento simile. Gli ultimi Ferragosti, anzi, del ‘61, del ‘62, del ‘63, avevano dato l’impressione di una certa ripresa vitale, nel senso che la città conservava un aspetto abbastanza cittadino.
Quest’anno invece, e con un anticipo di vari giorni, un vuoto meraviglioso. Meraviglioso o inquietante? La proporzione della fuga aveva alcunché di nuovo ed enigmatico. Ossequenza conformista al rito tradizionale di metà agosto? Crescente smania di «week ends » e simili? Mimetismo delle civiltà di massa che porta i fenomeni collettivi a dimensioni mostruose? Non poteva bastare. Come si spiegava allora?
Già cinque giorni fa sembrava di essere in una città spaventatissima, colpita dalla peste, minacciata da un’eruzione, oppressa da un incombente terrore. Sospensione totale, paralisi, armistizio della vita e del lavoro. Anche in pieno centro interminabili schieramenti di negozi sprangati, intere strade senza una persiana aperta, e sulle porte, sui cancelli, sulle saracinesche cartellini con su chiuso per ferie, chiuso dal 10 al 17, chiuso fino al 25, chiuso chiuso chiuso, visti da lontano quei cartellini avevano qualcosa di vagamente mortuario. Non si può avere un mal di denti, non si può intoppare un lavandino, non si può macchiare un abito, non ci si può tagliare un dito, non si può far saltare un valvola, non ci si può lasciar crescere i capelli, non si può compiere gli anni, è inutile telefonare gridare battere gli usci invocare soccorso, nessuno verrà nessuno risponderà nessuno aiuterà, dentisti idraulici tintori medici infermieri elettricisti parrucchieri fiorai flebotomi calzolai massaggiatori sarti indovini tutti come un sol uomo hanno tagliato la corda.
Per farvi curare una carie, smacchiare una giacca, medicare una storta, tagliare i capelli, aggiustare la luce, dovreste andare a Cortina d’Ampezzo, Varazze, Riccione, Courmayeur o Porto d’Ercole. Quasi quasi non
di DINO BUZZATI
sti. E ogni volta ci si guardava in un certo modo, come se a vicenda volessimo chiedere una cosa senza avere il coraggio di chiederla. Occhiate strane e ansiose. Forse per la consapevolezza di essere gli esclusi, i fuorilegge, gli eterodossi, gli eretici? No. L’inquietudine di noi rimasti, il disagio, l’incertezza erano dovuti ad altro motivo. Di fronte a così gigantesco fuggifuggi (che il semplice Ferragosto non bastava a giustificare) veniva un dubbio: eravamo rimasti tagliati fuori da un gioco? Ci avevano tenuto all’oscuro? Ci avevano nascosto qualcosa? Avevano approfittato della nostra ingenuità, ci avevano lasciato nei guai? Ma questo qualcosa cos’era? A che scopo la smisurata congiura?
Finché, per caso, in via Turati (erano le cinque del pomeriggio, un’aria vivida e frizzante, dalle parti di piazza della Repubblica un lontano ronzio di motoretta) ho incontrato Ignazio Talamoni, il mio vecchio professore di liceo. — Come mai, tu ancora qui a Milano? — E lei allora, professore? — Oh, io da molti anni sono pensionato, ho pochi quattrini, figlio mio. E poi sono vecchio non ho più nulla da temere. Ma tu, professionista delle angosce, cosa fai qui? Ti credevo anche te preso dal panico. — Panico di che? — Non vorrai farmi credere che non sai. — Giuro di no. — Dico: non penserai mica, alle volte, che Milano si sia ridotta così a motivo del Ferragosto? Con quella razza di congiuntura che tira avrebbero avuto voglia proprio quest’anno, i milanesi, di tante spese? — Be’, professore, se lei non si spiega... - Le avanguardie sono già a Gorgonzola. — Come?— Certi dicono che siano già a Crescenzago. — Come? — Poco fa, uno garantiva che erano arrivati alla Cascina dei Pomm. — Ma chi? Per amor di Dio, parli, professore. — E di chi vuoi che parli? Dei marziani, no? Sono discesi, stanno avvicinandosi, per il quindici agosto saranno in piazza del Duomo. (...)
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Stralcio dell’articolo dal titolo «Ferragosto coi marziani» uscito il 15 agosto 1964 sul Corriere della Sera