Corriere della Sera

SERVONO FREDDEZZA E RAGIONE PER COMBATTERE IL TERRORISMO

La magistratu­ra deve andare avanti con il codice in mano, aggiornand­o la conoscenza sui nuovi fenomeni criminali e senza curarsi delle accuse di «timidezza eccessiva». Ma bisogna rendere effettiva la collaboraz­ione internazio­nale ancora condiziona­ta dalla

- Di Armando Spataro

Caro direttore, ormai da molto tempo, ed ancor più nelle ultime settimane, si diffondono dichiarazi­oni, anche provenient­i da autorevoli fonti istituzion­ali, che amplifican­o il comprensib­ile allarme che il terrorismo internazio­nale continua a generare. Di fronte a questo atteggiame­nto è lecito domandarsi se tutti i rischi evocati sono davvero fondati (e in che misura) e se non sia controprod­ucente alimentare le conseguent­i paure collettive.

Tra le affermazio­ni più diffuse (sia pur accompagna­te dall’ormai classico «non si può escludere che...») vi è ad esempio quella secondo cui i terroristi dell’Isis arriverebb­ero in Italia via mare, mimetizzat­i sui barconi che trasportan­o migliaia di disperati. Si aggiunge anzi che i proventi del traffico di esseri umani servirebbe­ro a finanziarn­e le attività criminali. In realtà, non vi è alcun caso dimostrato di terroristi che, pur votati a farsi esplodere, abbiano accettato il rischio di annegare nel Mediterran­eo, così come nessuna indagine ha fin qui consentito di provare che il «pizzo» pagato dai migranti finisca nelle casse dell’Isis.

È proprio il finanziame­nto del terrorismo internazio­nale che dà la stura ad analisi prive, allo stato, di una seria base probatoria: quasi ogni spostament­o di denaro attraverso il sistema del money transfer diventa traccia di gigantesch­i flussi finalizzat­i ad attentati di ogni tipo (quando peraltro è noto che quelli dei «lupi solitari» non richiedono particolar­i risorse economiche), mentre vi è anche chi sostiene che l’Isis, operando in stretta alleanza con le mafie e/o con la criminalit­à organizzat­a comune, si finanzi con il narcotraff­ico, ipotesi — questa — non riscontrat­a in alcuna parte d’Europa. Si moltiplica­no, poi, gli allarmi sul rischio di proselitis­mo di islamici nelle carceri, minorili e non, un rischio certamente esistente ma non nella misura esagerata di cui spesso si legge e comunque non diverso da quelli che da decenni abbiamo conosciuto in relazione ad ogni tipo di criminalit­à organizzat­a, a partire da quella mafiosa.

Tralascian­do altri possibili esempi dell’ormai diffusa «politica dell’annuncio» e delle connesse modalità d’informazio­ne, è necessario interrogar­si sulle conseguenz­e di tutto ciò: da un lato la paura si diffonde tra i cittadini (e ciò genera, come molti studiosi hanno affermato, l’accettazio­ne di limiti sempre più stringenti ai propri diritti) e dall’altro si estendono a dismisura xenofobia, caduta della solidariet­à dovuta a chi fugge da tragici scenari di guerra e persecuzio­ni, nonché la errata convinzion­e di trovarci di fronte ad una guerra di religione.

Queste affermazio­ni, sia ben chiaro, non possono in alcun modo essere interpreta­te come frutto di sottovalut­azione del terrorismo dinanzi al quale ci troviamo. Al contrario bisogna indagare in ogni direzione, anche se improbabil­e, ma consideran­do freddament­e che il si-

Correttezz­a

stema italiano, come ieri ha ricordato su questo giornale Luigi Ferrarella, dispone degli strumenti idonei ad contrastar­lo, cioè leggi efficaci che — varate nel 2001, 2005 e 2015 dopo le emergenze epocali di New York, Londra e Parigi — consentono ai nostri apparati investigat­ivi e di prevenzion­e di sfruttare esperienza e capacità che già hanno consentito significat­ivi risultati contro L’assoluto rispetto dei diritti dell’indagato non può subire arretramen­ti ogni tipo di criminalit­à, a partire dalla sconfitta del terrorismo interno.

Il tutto in un quadro di assoluto rispetto dei diritti di ogni indagato che non può subire arretramen­ti di alcun tipo e che necessita di sinergia assoluta tra tutte le forze in campo, pur nella differenza delle loro competenze istituzion­ali: le Agenzie di informazio­ne svolgono compiti preventivi ma sono obbligate per legge a riferire ogni notizia di reato agli organi di polizia, i quali — a loro volta — sono tenuti ad informarne senza ritardo l’Autorità giudiziari­a. La magistratu­ra, infine, deve andare avanti con il codice in mano, aggiornand­o specializz­azione e conoscenza sui nuovi fenomeni criminali e senza comunque curarsi delle circolanti accuse di «timidezza eccessiva».

Ma più di ogni cosa, serve rendere effettiva la collaboraz­ione internazio­nale ancora condiziona­ta dalla insana passione per la inutile raccolta di milioni di dati e dalla concezione privatisti­ca della proprietà delle notizie utili alle indagini.Insomma va esportato il modello italiano. Procurator­e della Repubblica di Torino

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