SERVONO FREDDEZZA E RAGIONE PER COMBATTERE IL TERRORISMO
La magistratura deve andare avanti con il codice in mano, aggiornando la conoscenza sui nuovi fenomeni criminali e senza curarsi delle accuse di «timidezza eccessiva». Ma bisogna rendere effettiva la collaborazione internazionale ancora condizionata dalla
Caro direttore, ormai da molto tempo, ed ancor più nelle ultime settimane, si diffondono dichiarazioni, anche provenienti da autorevoli fonti istituzionali, che amplificano il comprensibile allarme che il terrorismo internazionale continua a generare. Di fronte a questo atteggiamento è lecito domandarsi se tutti i rischi evocati sono davvero fondati (e in che misura) e se non sia controproducente alimentare le conseguenti paure collettive.
Tra le affermazioni più diffuse (sia pur accompagnate dall’ormai classico «non si può escludere che...») vi è ad esempio quella secondo cui i terroristi dell’Isis arriverebbero in Italia via mare, mimetizzati sui barconi che trasportano migliaia di disperati. Si aggiunge anzi che i proventi del traffico di esseri umani servirebbero a finanziarne le attività criminali. In realtà, non vi è alcun caso dimostrato di terroristi che, pur votati a farsi esplodere, abbiano accettato il rischio di annegare nel Mediterraneo, così come nessuna indagine ha fin qui consentito di provare che il «pizzo» pagato dai migranti finisca nelle casse dell’Isis.
È proprio il finanziamento del terrorismo internazionale che dà la stura ad analisi prive, allo stato, di una seria base probatoria: quasi ogni spostamento di denaro attraverso il sistema del money transfer diventa traccia di giganteschi flussi finalizzati ad attentati di ogni tipo (quando peraltro è noto che quelli dei «lupi solitari» non richiedono particolari risorse economiche), mentre vi è anche chi sostiene che l’Isis, operando in stretta alleanza con le mafie e/o con la criminalità organizzata comune, si finanzi con il narcotraffico, ipotesi — questa — non riscontrata in alcuna parte d’Europa. Si moltiplicano, poi, gli allarmi sul rischio di proselitismo di islamici nelle carceri, minorili e non, un rischio certamente esistente ma non nella misura esagerata di cui spesso si legge e comunque non diverso da quelli che da decenni abbiamo conosciuto in relazione ad ogni tipo di criminalità organizzata, a partire da quella mafiosa.
Tralasciando altri possibili esempi dell’ormai diffusa «politica dell’annuncio» e delle connesse modalità d’informazione, è necessario interrogarsi sulle conseguenze di tutto ciò: da un lato la paura si diffonde tra i cittadini (e ciò genera, come molti studiosi hanno affermato, l’accettazione di limiti sempre più stringenti ai propri diritti) e dall’altro si estendono a dismisura xenofobia, caduta della solidarietà dovuta a chi fugge da tragici scenari di guerra e persecuzioni, nonché la errata convinzione di trovarci di fronte ad una guerra di religione.
Queste affermazioni, sia ben chiaro, non possono in alcun modo essere interpretate come frutto di sottovalutazione del terrorismo dinanzi al quale ci troviamo. Al contrario bisogna indagare in ogni direzione, anche se improbabile, ma considerando freddamente che il si-
Correttezza
stema italiano, come ieri ha ricordato su questo giornale Luigi Ferrarella, dispone degli strumenti idonei ad contrastarlo, cioè leggi efficaci che — varate nel 2001, 2005 e 2015 dopo le emergenze epocali di New York, Londra e Parigi — consentono ai nostri apparati investigativi e di prevenzione di sfruttare esperienza e capacità che già hanno consentito significativi risultati contro L’assoluto rispetto dei diritti dell’indagato non può subire arretramenti ogni tipo di criminalità, a partire dalla sconfitta del terrorismo interno.
Il tutto in un quadro di assoluto rispetto dei diritti di ogni indagato che non può subire arretramenti di alcun tipo e che necessita di sinergia assoluta tra tutte le forze in campo, pur nella differenza delle loro competenze istituzionali: le Agenzie di informazione svolgono compiti preventivi ma sono obbligate per legge a riferire ogni notizia di reato agli organi di polizia, i quali — a loro volta — sono tenuti ad informarne senza ritardo l’Autorità giudiziaria. La magistratura, infine, deve andare avanti con il codice in mano, aggiornando specializzazione e conoscenza sui nuovi fenomeni criminali e senza comunque curarsi delle circolanti accuse di «timidezza eccessiva».
Ma più di ogni cosa, serve rendere effettiva la collaborazione internazionale ancora condizionata dalla insana passione per la inutile raccolta di milioni di dati e dalla concezione privatistica della proprietà delle notizie utili alle indagini.Insomma va esportato il modello italiano. Procuratore della Repubblica di Torino