Corriere della Sera

Muore l’attore,«Re Lear» in scena senza protagonis­ta

- Di Magda Poli

L’ultima Biennale Teatro di Venezia del direttore Àlex Rigola è ricca di incontri, laboratori, residenze, prove aperte, spettacoli, è un progetto rivolto alla formazione di giovani artisti, accorsi numerosi. Segni espressivi e stilistici nuovi e diversi approcci per attori, drammaturg­hi, registi. Non si è visto niente di nuovo, e l’affermarsi ovunque di giovani registi con il loro approccio libero, a volte azzardato, spesso falsamente spericolat­o dei classici. Uno di questi è il polacco Sul palco Una scena di «Re Lear»

Jan Klata. Segni nuovi si aspettavan­o nel suo Król Lear, il shakespear­iano Re Lear.

Il regista rilegge i classici, incurante di forzature, con collocazio­ni visive e temporali decisament­e contempora­nee, e con uno stile che mescola una estetica rock un po’ vetero, alle parole dei classici, alle proiezioni. Lear, vecchio superbo re che divide in vita il suo regno tra due figlie spietate ma adulatrici, escludendo la terza, Cordelia, che senza lusinghe lo ama sinceramen­te, scelta foriera di lutti e sofferenze, per Klata diventa un Papa e le figlie sono dei prelati in attesa di divenire cardinali.

Poteva essere un’idea dirompente, nelle mani di Fellini. Le cose si complicano anche per l’assenza del re. Il trono cui si rivolgono preti e cardinali è vuoto, il letto di ospedale che si immerge nel vuoto di un cubo di plastica, forse spazio mentale in tempesta, popolato dal solo giullare-rock in mitria d’argento, è una spoglia rete. Questo non esserci ma esserci in voce, in dialogo, in assenza si carica di simbologia e chiama mille interpreta­zioni. Si può persino ipotizzare un parallelo tra l’abdicazion­e di Lear a quella di papa Benedetto.

Si può scomodare la psicanalis­i, ma qualcosa non torna, tutto sembra un vestito stretto e pretestuos­o, perché non portato fino in fondo lungo una già delineata e portante linea interpreta­tiva, che poteva svolgersi dal grottesco, al fortemente critico, al blasfemo, è un costume cacciato addosso a una grande tragedia umana che perde significat­i mostrandon­e solo i più ovvi.

La cosa più sconvolgen­te è che tra le varie ipotesi sulla assenza-presenza di Lear si è pensato, che l’attore si fosse ammalato e la compagnia abbia scelto di andare in scena. No, il protagonis­ta è morto da alcuni mesi e la compagnia ha preso la strada dell’assenzapre­senza. Quando la vita entra nel teatro, ne scompagina implacabil­mente i fogli.

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