Magistrature contro La lite finisce al Tar
Ricorso della magistratura contabile contro quella tributaria, tutto sull’interpretazione di una parola
Si sono sempre guardati un po’ in cagnesco. E prima o poi, nella Repubblica delle magistrature doveva succedere: la zuffa tra magistrati della Corte dei conti e tributari.
E si combatte intorno a una parola: contabile. Succede che il 12 luglio, incombente la canicola, il consiglio di presidenza della giustizia tributaria, ovvero il Csm di quei magistrati, esclude dalle presidenze di alcune commissioni tributarie provinciali i giudici della Corte dei conti. Il cavillo è l’interpretazione dell’articolo 3 del decreto legislativo 545 del ‘92: «I presidenti di commissioni tributarie provinciali sono nominati tra i magistrati ordinari, o amministrativi o militari, in servizio o a riposo...». E siccome non sono citati quelli «contabili», ecco che questi sono tagliati fuori.
Per i giudici della Corte dei conti è un colpo sotto la cintura. Da decenni molti di loro presiedono le commissioni tributarie provinciali e nessuno in quella sede si era mai sognato di sollevare la questione. A parte il fatto, rumoreggiano, che non si capisce perché i magistrati militari potrebbero presiederle e loro, che di mestiere si occupano di verificare calcoli e procedure, invece no. Per non parlare della questione che i riguarda componenti delle commissioni tributarie: loro non sono neppure magistrati, ma semplici dipendenti pubblici quando non avvocati o perfino commercialisti. Situazione che prefigura in determinate circostanze mostruosi conflitti d’interessi e può spiegare perché nella maggioranza dei contenziosi la spuntano i contribuenti. Il tutto grazie a lungaggini non inferiori a quelle della giustizia ordinaria. Sono previsti infatti tre gradi di giudizio: il primo davanti alle commissioni tributarie provinciali, il secondo di cui sono competenti le commissioni regionali, e il terzo in Cassazione. Continua però a sopravvivere, 24 anni dopo essere stata soppressa, la Commissione tributaria centrale con funzione di terzo grado di giudizio, ma solo per cause insorte prima del ‘96: vent’anni fa. Il che dice tutto su questo sistema inefficiente, creato con legge del 1864, del quale è stata invano ipotizzata più volte la soppressione. I giudici della Corte dei conti non ci stanno a perdere le loro prerogative, compresi i gettoni spettanti ai presidenti di commissione tributaria, e piantano una grana. Sostengono di essere per prassi costituzionale equiparati agli amministrativi, perciò la parola «contabili» non figura nel decreto (1992) dell’ultimo governo Andreotti. Dicono pure che non si può escludere il rischio di ricorsi per invalidare sentenze passate di commissioni presiedute da loro.
Il consiglio di presidenza dei giudici tributari non ci sente. E allora i magistrati della Corte dei conti ricorrono al Tar. Così un giudice amministrativo dovrà dirimere una controversia fra toghe: tre magistrature impegnate su una parola. Solo in Italia poteva accadere. Con i problemi che ha la nostra giustizia... Ma non sarà che la giustizia ha tutti quei problemi perché si pensa più a queste cose che a far funzionare i tribunali?