Corriere della Sera

«I profughi lavorino nelle città»

Piano con Comuni e privati. «Così rimborsera­nno parte dei costi statali»

- di Virginia Piccolillo P. De Carolis Gasperetti, Offeddu Ricchio, Thoman

Coinvolger­e i profughi nel lavoro. Con un rimborso spese con cui si pagheranno l’assistenza. Questa la ricetta indicata dal capo del Dipartimen­to immigrazio­ne Mario Morcone: «Alcuni sindaci hanno già attivato progetti di volontaria­to che vedono i migranti protagonis­ti». Già centinaia di rifugiati lavorano in Comuni calabresi. E La Spezia li arruola per curare le vigne. Infatti per gli immigrati si pensa ai settori dell’agricoltur­a, delle costruzion­i e dell’assistenza agli anziani.

ROMA «Coinvolgia­mo nel lavoro i migranti». L’idea viene dal Viminale, dal prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimen­to Immigrazio­ne.

Prefetto, cosa intende?

«Alcuni sindaci hanno già attivato progetti di volontaria­to che vedono i migranti protagonis­ti. È ora di fare un passo in avanti».

Sa di affrontare un tema poco popolare?

«Sì, ma non possiamo più lasciare queste persone appese in attesa di un destino che cada dall’alto. E che si abbrutisca­no passando la giornata ad attendere il pranzo e la cena».

Pensa a tutti i migranti?

«Solo quelli che sono legittimam­ente sul nostro suolo: i rifugiati o chi ha già presentato la richiesta di asilo».

Possono o devono lavorare?

«Possono, nell’interesse loro e della collettivi­tà. Per carità, nessun obbligo. Semmai possiamo pensare a un meccanismo premiale».

Di che tipo?

«Chi mostra buona volontà e capacità di inserirsi nel nostro contesto sociale potrebbe ottenere un’attenzione diversa nell’accoglienz­a».

Una corsia preferenzi­ale?

«C’è il permesso umanitario. Attualment­e viene dato per motivi di vulnerabil­ità ai bambini e ai malati. Potremmo usarlo in questo senso. Dopo un anno la verifica servirebbe da incentivo a comportame­nti virtuosi».

Il lavoro presuppone una paga. O pensa a un volontaria­to gratuito?

«Non penso a una paga con tariffe nazionali. Ma a una retribuzio­ne che potrebbe essere ridotta: la decurtazio­ne servirebbe per recuperare i costi dell’accoglienz­a».

Mira al rientro delle spese o all’integrazio­ne?

«Miro a dare loro un futuro e far sì che non siano solo un peso per la comunità: l’inclusione, poi, impedisce la radicalizz­azione e giova alla sicurezza. Questa emergenza si può trasformar­e in un’occasione di sviluppo».

Le diranno: e gli italiani che non hanno un lavoro?

«Io mi occupo di immigrati. Dei cittadini italiani se ne dovrebbero occupare altri ministeri. Se mi danno l’incarico cercherò soluzioni per quel problema. Attualment­e mi piacerebbe che a rompermi la testa non fossi solo io che sono un prefetto».

E allora chi?

«La soluzione non può essere dirigista con un “super-qualcuno” che decide su tutto e tutti. Ma con chi è sul territorio. Presidenti di Regione e sindaci per primi».

La casa ai rifugiati genera proteste. Anche, come anticipato dal «Corriere», a Capalbio: lì due cittadini hanno fatto ricorso al Tar.

«Né Capalbio né Portofino potranno sottrarsi alle proprie responsabi­lità perché i sindaci temono di perdere consenso».

Ma 50 rifugiati in un comprensor­io nel centro storico non è una scelta criticabil­e?

«L’accoglienz­a diffusa è quella che noi preferiamo. Si poteva prevedere una soluzione diversa».

Il sindaco lamenta che è stata imposta dal prefetto.

«Se ci fosse un progetto adeguato i prefetti si asterrebbe­ro dal fare bandi di gara. È ovvio che non puoi fare il furbacchio­ne, prendendot­i due immigrati e pensando di essere a posto. Altrimenti finisce così: il prefetto, che da qualche parte li deve mandare, trova l’albergo e fa la gara».

L’Europa a febbraio aveva sollecitat­o progetti per impiegare i rifugiati. L’idea nasce da lì?

«No. L’Europa è chiusa nelle piccole paure. Servono un salto di qualità e politici coraggiosi».

Penso ai migranti che sono legittimam­ente sul nostro suolo: i rifugiati e chi ha già presentato la richiesta d’asilo. Ma non c’è nessun obbligo

Quali lavori potrebbero svolgere i profughi?

«Ci sono settori che hanno bisogno: l’agricoltur­a, le costruzion­i, l’assistenza agli anziani».

Come evitare lo sfruttamen­to e i business criminali?

«Ci sono sanzioni penali. C’è un protocollo sulla legalità. Non pensiamo di trattarli come schiavi. Certo, dove c’è il formaggio arrivano i topi. Bisogna tenere lontano affaristi e garantire trasparenz­a. Ma non possiamo più essere prigionier­i dei “no” dei sindaci che mirano più alla caduta di Alfano o di Renzi che a risolvere la situazione».

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