Corriere della Sera

Le vie dell’odio (e dei pregiudizi) sono infinite

- di Carlo Baroni

Il mondo ha bisogno di qualcuno da aggredire. Da mettere nell’angolo. Farlo scomparire. Bruciare. E può essere un rogo oppure una camera a gas

Èsempre la stessa Storia. Gli umiliati e offesi che possono cambiare nome, mai il destino. Sconfitti dal colore della pelle o dal far parte del popolo «sbagliato». Figli di genitori che non si sono scelti e di Paesi che li ospitano ma non li vogliono. Sconfitti che, qualche volta, diventano anche perdenti. E allora è la fine davvero.

Caryl Phillips li racconta ne La memoria del sangue (traduzione di Velia Februari, Imprimatur), un flashback nel tempo tenuto insieme dal pregiudizi­o. Eva, giovane ebrea tedesca, negli anni della Seconda guerra. Il disagio che diventa paura. Lei che non capisce. Il mondo che si rivolta contro in un attimo.

Anche camminare per la strada è una conquista. Sei il bersaglio da colpire. Un niente dentro un tutto fatto di prepotenza ed arroganza. Eva ripercorre il passato. Un tempo che non sbiadisce. Il presente è un lager che si riapre alla vita, dopo la liberazion­e. Facendo finta che si possa tirare una riga e ripartire. Ma le pagine del quaderno restano strappate per sempre. Neanche la tenerezza del soldato venuto a salvarla scalda l’anima di Eva.

Forse ha avuto ragione lo zio Stephan, l’idealista che il suo futuro se l’era costruito quando tutto sembrava si potesse rimettere insieme. Andare in Palestina, creare uno Stato, il focolare per proteggers­i e difendersi dai nemici. Stephan che la sua famiglia tiene a distanza. Il sognatore che non si fa illusioni. Come il generale che, cinque secoli prima, Venezia aveva chiamato per difendere la Repubblica. L’Otello ricevuto dall’aristocraz­ia fintanto che rimane al suo posto. E non si invaghisce, lui nero, di una donna bianca.

Impensabil­e anche per chi ha il sangue nobile, le mostrine sulle spalline, il coraggio che manco il leone di San Marco. E sullo sfondo, accanto, la vicenda di Portobuffo­lè, il processo agli ebrei «colpevoli» senza bisogno di processo. Quello che ci sarà, giusto per non avere debiti con la coscienza. O qualcosa che le assomiglia molto da lontano. Il popolo da gettare sul rogo quando le cose vanno male. E neanche il ridicolo di accuse inconsiste­nti può bastare a sedare l’odio. Le leggende fondate sulla cattiveria. Il Male che va al di là dell’umano. E pensi che ti basti vedere una volta per non rifarlo mai più. E non c’è verso per opporsi. Neppure per resistere. Il destino è ineluttabi­le. Va sempre nella stessa direzione e non è mai la tua. Il sangue ha una memoria che non si cancella. Resta sempre una striscia da qualche parte. Un piccolo segno rosso che il tempo ha fatto diventare amaranto.

Il mondo ha bisogno di qualcuno da aggredire. Da mettere nell’angolo. Farlo scomparire. Bruciare. E può essere un rogo o una camera a gas. Le vie dell’odio sono infinite. Eva e Otello sono le vittime designate, colpevoli di non essersi rassegnate prima. Di pensare di poter cambiare le cose. Di sperare che gli altri sarebbero inorriditi davanti all’ingiustizi­a. Senza fare i conti con l’egoismo dei cuori. Quello sì, immutabile nei tempi.

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