Corriere della Sera

A 80 anni dalla fucilazion­e Il caso García Lorca è riaperto «Ora la verità sulla sua morte»

- Elisabetta Rosaspina

dalla nostra inviata

Gli archeologi sono certi di essere vicini, molto vicini alle ossa di Federico García Lorca. Forse a venti metri dal punto dove già si è scavato, senza però trovarne traccia, tra i Comuni di Viznar e Alfacar, vicino a Granada. Un movimento del terreno, di cui non era stato tenuto conto, avrebbe indotto l’errore fatale. Ma i fondi pubblici per continuare le indagini sono praticamen­te esauriti e Javier Navarro, capo dell’équipe multidisci­plinare che non si rassegna a lasciare l’autore di Romancero gitano e Nozze di sangue tra i desapareci­dos della Guerra civile spagnola, aspetta il via libera della Giunta dell’Andalusia, oltre a un finanziame­nto relativame­nte modesto di 17 mila euro. Quanto manca a intraprend­ere quest’autunno il nuovo sforzo, che potrebbe comunque veniva fucilato dopo essere stato arrestato e, non si esclude, torturato dai falangisti. Il momento ufficiale della sua morte è stato fissato all’alba del 19 agosto del 1936, il luogo dove giacciono i suoi resti rimane un mistero da quel giorno, nonostante anni di scavi, ricerche, consulenze di testimoni oculari, ormai tutti scomparsi. È incerta anche la dinamica di un delitto maturato nel clima di sospetto, vendette, odio dell’inizio della Guerra civile in Spagna. Mentre sembra quasi sicuro che García Lorca fu sepolto in una fossa comune in compagnia di un maestro di scuola e due toreri anarchici, eliminati con lui, a Viznar, dalle parti di Granada. O almeno così riferì all’inizio degli anni Settanta Manuel Castilla, sedicenne, all’epoca, costretto dagli assassini a scavare la tomba, forse solo provvisori­a, del già famoso scrittore trentotten­ne e dei suoi sventurati compagni di prigionia. Anche se, nel dossier fornito agli inquirenti argentini, il rapporto ufficiale parla di una sola altra persona «passata per le armi» assieme allo scrittore.

Ma nel luogo indicato da Castilla al più importante biografo di García Lorca, l’ispanista di origini irlandesi Ian Gibson, non fu trovato nulla. Un altro testimone, Antonio García, avrebbe raccontato ai compaesani di aver saputo da un conoscente che il corpo del poeta era stato disseppell­ito poco dopo la morte e sotterrato Trovata una nota della polizia che definisce Lorca «omosessual­e, socialista, massone» Federico García Lorca (1898-1936) in una foto scattata a Granada nel 1914, ritratto con la sorellina Isabelita (Archivio Gbb/ Contrasto). Ottant’anni fa, agli albori della guerra civile spagnola, il poeta venne catturato e fucilato dai nazionalis­ti a Víznar, in Andalusia, e poi gettato in una fossa comune. Il suo corpo non venne più ritrovato

a un centinaio di metri di distanza, per evitarne o ritardarne il ritrovamen­to. In ogni caso ogni ricerca è stata interrotta un paio d’anni fa dal governo andaluso che aveva già investito 70 mila euro nelle ispezioni e non sembra disposto a erogarne uno di più. Storici e archeologi, possono tantomeno sperare nell’aiuto della famiglia che, fin dall’inizio, si oppone all’eventuale esumazione dei resti del poeta. Le ricerche infatti sono state avviate, formalment­e, per ritrovare i resti del maestro elementare Dioscoro Galindo Gonzalez, e del «banderille­ro» anarchico Francisco Galadì, i cui discendent­i invece vorrebbero dare loro degne sepolture.

Per la nipote Laura García Lorca de los Rios, che amministra la Fondazione intitolata allo zio, tutto questo accaniment­o non ha senso: la tomba di García Lorca, per la famiglia, è là dove è stata piantata una lapide in sua memoria, a Fuente Grande di Alfacar, vicino all’ulivo che sarebbe stato testimone della sua fine. La resistenza della famiglia ha dato adito a voci e pettegolez­zi di ogni genere, come l’insinuazio­ne che i famigliari avessero recuperato molti anni fa i resti di Federico, seppellend­oli all’interno della loro proprietà di campagna, La Huerta de San Vicente.

Per Ian Gibson, il biografo nato a Dublino tre anni dopo la tragica fine di García Lorca, scoprire esattament­e che cosa avvenne è diventato lo scopo di una vita: «Nessuno vuole strapparlo dalla sua tomba. Se la famiglia non lo desidera, sembra inopportun­o anche a me — ha dichiarato —. Però è importante sapere come morì e se fu torturato». La verità può essere a venti metri. O irraggiung­ibile.

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