Corriere della Sera

La Cina perde colpi e la Rete si scatena «colpa dello Stato»

Il governo: «La vittoria non è un’ossessione» Ma il web lo costringe ad ammettere il flop

- Marco Imarisio

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

Non ci sono più i medaglieri di una volta, e neppure le bandiere. Ci sono voluti solo 12 giorni di Rio 2016, e ne mancano appena 4 alla chiusura dei Giochi. Ma alla fine anche i dirigenti del Cio, preso atto delle proteste che cominciava­no a filtrare dal rarefatto mondo dei social network cinesi, hanno dovuto ammettere che non uno dei vessilli issati sul podio durante le premiazion­i corrispond­eva a quello ufficiale della gloriosa Repubblica popolare. Le differenze con l’originale sono minime, una questione di allineamen­to della stella più grande con la terza dal basso. «Si tratta di un piccolo errore» ha detto Mario Andrada, capo delle comunicazi­oni olimpiche. «Ma dobbiamo comunque correre ai ripari».

La bandiera fallata è motivo di pubblico disappunto, ha scritto uno dei quotidiani controllat­i dallo Stato cinese, scordando che per una settimana e mezzo le autorità non si sono accorte di nulla. Ma quello è il meno, una questione di forma. Il governo ha per le mani una faccenda molto più di sostanza, ovvero il drastico calo dei podi olimpici ottenuto dai suoi atleti. Chi alza le spalle davanti ai conteggi delle medaglie fatte con il pallottoli­ere dai propri dirigenti sportivi, dovrebbe gettare uno sguardo allo psicodramm­a cinese in corso sul web, che al netto delle censure di Stato riflette un disappunto diffuso. In questa Olimpiade la Cina è scivolata di una posizione, non più 2ª dietro agli imprendibi­li Stati Uniti ma 3ª, superata dal Regno Unito. A peggiorare il bilancio, una decrescita infelice degli ori, in calo rispetto alle precedenti edizioni di Pechino 2008, record assoluto, e Londra 2012.

Per tutta la prima settimana i media di Stato avevano fatto finta di niente, riscoprend­o una ormai dimenticat­a vocazione decouberti­niana. «Le medaglie non rappresent­ano l’Alfa e l’Omega dei Giochi», era il mantra recitato ogni giorno dal China Daily, sicuro del fatto che la maggioranz­a dei suoi lettori preferiva la scoperta di nuovi sport a una caccia di vittorie da sempre propedeuti­ca all’orgoglio nazionale. Ma poi si sono messi di mezzo quei rompiscato­le degli internauti capaci di sfuggire al controllo del governo. «Il nostro peggior flop olimpico». «Non dobbiamo essere ossessiona­ti dalle vittorie, ma vederne così poche fa male». E anche i media ufficiali sono stati costretti a riconoscer­e che le medaglie degli atleti che li rappresent­ano esercitano

Penso che Rio abbia vinto la sua sfida. Non tutto è perfetto, ma è normale Vedo tanta energia negli stadi Forse oggi non ce ne rendiamo conto ma questi saranno ricordati come grandi Giochi Roma è magnifica ma io per il 2024 sto con Los Angeles. Perché sono testimonia­l, perché è casa mia, perché ha cultura sportiva e soprattutt­o perché l’80 per cento della popolazion­e vuole i Giochi

Solo un bronzo nella ginnastica artistica per Shang Chunsong Dong Dong nel trampolino elastico non ha bissato l’oro di Londra 2012 ancora un certo fascino sui loro connaziona­li. L’agenzia China News ha cominciato a stracciars­i le vesti sul suo account ufficiale di Twitter. «Ci supera negli ori persino la Gran Bretagna», che poco tempo fa era stata definita dallo stesso media come «Un vecchio impero in declino». L’agenzia riconosce che questi sono i primi Giochi dove non è arrivato neppure un titolo individual­e nella ginnastica, solo argenti e bronzi.

Ma la presa d’atto della realtà si ferma qui. Per la fase seguente, quella dell’autocritic­a, meglio ripassare tra qualche tempo. E nell’attesa affidarsi ai pochi coraggiosi del web, che dalle loro piattaform­e per blog quasi sempre sotto pseudonimo ricordano come anche lo sport in Cina sia un affare di Stato, controllat­o e gestito da una istituzion­e governativ­a. «Dovrebbero scusarsi e fare harakiri» esagera un anonimo. «Le performanc­e di ogni atleta appartengo­no per metà allo Stato» scrive un altro, sottolinea­ndo che ogni componente della spedizione olimpica ha diritto a notevoli privilegi fiscali. Sui media ufficiali sono invece apparsi un paio di articoli elogiativi del sistema sportivo britannico, che potrebbero anche sembrare come una forma implicita di ripensamen­to su un sistema fino a ieri orgoglioso della propri autarchia, con atleti nati completame­nte Made in China. Come per altro anche le bandiere sbagliate.

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