Corriere della Sera

I RIMEDI URGENTI CONTRO LA PALUDE

- Di Sergio Romano

Itre leader di Ventotene non potevano ignorare che un incontro tripartito, organizzat­o per affrontare i problemi di una Unione composta da 27 Paesi, presenta sempre qualche rischio. Se i risultati sono mediocri, molti esclusi ne sono probabilme­nte felici e la palla delle responsabi­lità torna là dove il gioco è lento e spesso inconclude­nte. Hollande, Merkel e Renzi hanno quindi un evidente interesse a prendere decisioni che servano a rilanciare l’Europa e a renderla maggiormen­te credibile. Ma i tre leader, come ha ricordato Franco Venturini sul Corriere del 20 agosto, condividon­o malaugurat­amente un’altra caratteris­tica: ciascuno di essi ha una difficile scadenza elettorale, relativame­nte vicina, e un interesse apparente a evitare decisioni che possano pregiudica­re le sue fortune politiche. Non è un fatto nuovo. Non vi è stato un momento, nella storia della Comunità europea, in cui i governi non fossero costretti a contempera­re interessi generali e interessi nazionali. Ma fra le esperienze del passato e quelle del presente esiste una importante differenza.

Sino alla fine del secolo scorso, anche là dove esisteva un forte partito comunista, il confronto elettorale era tra forze politiche che giocavano con le stesse regole, avevano uno stesso retroterra culturale e avrebbero fatto dopo le elezioni, in materia di Europa, politiche molto simili.

LSEGUE DALLA PRIMA

o abbiamo constatato nel Parlamento di Strasburgo dove l’esistenza di gruppi popolari, socialdemo­cratici e liberaldem­ocratici non ha mai impedito all’Assemblea di fare un rispettabi­le lavoro europeo. Le difficoltà sono cominciate quando abbiamo assistito all’arrivo di gruppi e persone per cui Bruxelles, la Commission­e, le altre istituzion­i europee e soprattutt­o la burocrazia comunitari­a sarebbero la causa di tutti i nostri mali. Non è vero. Ma questa analisi grossolana di movimenti populisti, spesso guidati da tribuni e demagoghi come Nigel Farage e Marine Le Pen, è piaciuta a una parte dell’elettorato, ha sottratto voti ai partiti tradiziona­lmente favorevoli alla costruzion­e europea, li ha preoccupat­i e intimiditi, li ha resi esitanti e guardinghi.

Non sappiamo ancora se i tre leader di Ventotene riuscirann­o a convincere il vertice europeo del 16 settembre, a Bratislava, che è necessario superare questo stallo e fare progressi in almeno tre campi: crescita economica e occupazion­e; accoglienz­a dei migranti; sicurezza comune. I rimedi e le soluzioni sono già conosciuti. Per la crescita occorrono iniziative, dalle grandi opere agli sgravi fiscali, sostenute dal bilancio dell’Ue. Per la politica dei migranti occorre una vera frontiera comune, presidiata da una polizia europea, e un diritto d’asilo valido per tutti i membri dell’Unione. Per la sicurezza e la minaccia terroristi­ca, occorre una Intelligen­ce europea, capace di gestire collegialm­ente un comune patrimonio di informazio­ni. Se qualcuno solleverà obiezioni, i tre di Ventotene potranno esortare gli altri membri dell’Unione a guardarsi attorno. Siamo circondati da aree di crisi: sulla frontiera russo-ucraina, in Turchia, in Siria, in Libia, domani forse in altri Paesi dell’Africa settentrio­nale e del Levante. Nessuno più di noi europei ha interesse a spegnere questi focolai di guerra, nessuno più di noi dispone dei mezzi e delle competenze necessarie, nessuno più di noi è in grado di offrire a questi Paesi un futuro di sviluppo e di pace. Ma le vicende degli ultimi anni hanno dimostrato che nessuno di noi è in grado di farlo da solo. Chi ci chiede di tornare alle sovranità nazionali ci chiede in realtà di rinunciare ad avere, nelle cose del mondo, un ruolo corrispond­ente ai nostri interessi e alle nostre ambizioni.

È stato giusto, in questi giorni, ricordare l’importanza del Manifesto di Ventotene nella storia dell’integrazio­ne. Ma esiste un altro ricordo, forse più calzante, a cui dovremmo ispirarci. Nel 1954, dopo il voto contro la Comunità europea di Difesa nel Parlamento francese, i leader e i partiti europeisti furono investiti da una ondata di scetticism­o e pessimismo. Reagirono con una conferenza che si tenne a Messina nel giugno 1955 e gettò le basi per la creazione del Mercato Comune a Roma, in Campidogli­o, nel 1957.

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