Solo effetti speciali Il declino dei kolossal
Flop del nuovo «Ben Hur» dopo una serie di insuccessi a Hollywood: gli effetti speciali non conquistano il pubblico, divi ridotti a comparse
il cui motore non spinge più. Film molto costosi da realizzare per complessità della lavorazione e degli effetti speciali (basta vedere gli interminabili titoli di coda) come Warcraft e The Huntsman — Winter’s War e il sequel di Independence Day e il nuovo Tarzan e il sequel con cast femminile di Ghostbusters e delle Tartarughe Ninja? Tutti flop.
Suicide Squad per ora ha incassato 222 milioni di dollari negli Stati Uniti ma al secondo weekend nelle sale è crollato del 67%, difficile che si riprenda. Il paradosso di un film come Batman contro Superman è che pur avendo incassato globalmente 873 milioni di dollari (771 milioni di euro) ha deluso le aspettative: è costato 250 milioni per la produzione e quasi altri 200 in promozione, doveva arrivare a 1 miliardo di dollari che è il vero traguardo dei nuovi kolossal.
È stato redditizio scommettere per tanti anni su pochi film costosissimi ma capaci poi di sfondare il tetto di 1 miliardo di dollari di box office globale: però sono state penalizzate tante colonne portanti dell’industria del cinema da più di un secolo. E cioè i divi e le dive, i grandi registi, le storie. Gli attori? Trasformati in controfigure o appendici degli effetti speciali, costretti a recitare davanti a teloni verdi sui quali, digitalmente, vengono poi aggiunti in post produzione effetti speciali, paesaggi — o interi personaggi — creati al computer. Recentemente due attori lanciatissimi come Armie Hammer (The Lone Ranger, il nuovo Guadagnino e il nuovo Tom Ford) e Luke Evans (la saga dello Hobbit) spiegavano al Corriere come il lavoro di attore a Hollywood ormai comporti la necessità di imparare arti marziali, scalare montagne con il free-climbing, gonfiarsi alla bisogna di muscoli. La recitazione? In secondo piano, specie se il partner è un mostro digitale.
I registi? Hollywood ha ritenuto che per il nuovo Ben Hur bastasse l’anonimo regista kazako Timur Bekmambetov. Proprio lo stroncatissimo remake di Ben-Hur, delusione al botteghino (la versione del 1959 era stata affidata per la regia a William Wyler e per il ruolo di protagonista a Charlton Heston, vinse 11 Oscar e sbancò il box office) è secondo Variety la cartina di tornasole della crisi: il giornale ha appena pubblicato un corsivo molto duro sul «disastro emblematico» del nuovo Ben Hur, sul «fallimento che dimostra come le stelle del cinema siano sempre importanti», perché «la colpa è dei produttori e dei manager che hanno deciso che semplicemente non c’era bisogno di una star, bastava un bell’uomo come Heston, occhi azzurri, espressione così così».
Le accuse «Variety» e «Wall Street Journal»: fallimenti clamorosi di produttori e manager