Corriere della Sera

I primi 2 mesi di Appendino e la tattica del doppio binario

La tattica della sindaca finora ha funzionato, ma la città chiede di più: lo sviluppo

- Di Dario Di Vico

La simpatia per i vegani, gli incentivi in busta paga per chi andrà al lavoro in bici, i tagli dello staff, dei relativi stipendi. E l’impresa come riferiment­o. Il doppio binario di Chiara Appendino a due mesi dal voto che l’ha portata sulla poltrona di sindaco di Torino. Giudizi lusinghier­i sul primo cittadino a Cinque Stelle. Niente a che vedere con Roma e il tribolato esordio di Virginia Raggi. Torino non conosce le emergenze che agitano la Capitale.

Se fosse un refrain suonerebbe così: «Torino non è Roma / Chiara non è Virginia». Sono passati due mesi dal voto delle Amministra­tive che ha portato Chiara Appendino sulla poltrona di sindaco della città e i giudizi sull’operato del primo cittadino a Cinque Stelle sono lusinghier­i. Appena velati dalla cautela, necessaria in questi casi. Niente, dunque, a che vedere con Roma e con il tribolatis­simo esordio di Virginia Raggi. Le differenze sono enormi: Torino non conosce le emergenze che agitano la Capitale (rifiuti in primis), la battaglia politica è meno aspra, ma c’è anche un dato politico-sociologic­o che ripetono un po’ tutti. «Chiara non è un’aliena, è una figlia della borghesia imprendito­riale».

Il doppio binario

Come si sa, infatti, il padre Domenico è vicepresid­ente di Prima Industrie, una delle aziende-vetrina del territorio, la stessa neosindaca ha lavorato come revisore dei conti alla Juventus degli Agnelli e quindi non siamo alla staffetta sociale ma quasi a un’alternanza tra due segmenti di classe dirigente. È presto per dire se i fatti confermera­nno queste sensazioni ma intanto Appendino ha adottato la tattica del doppio binario. Sul primo viaggiano le sortite simboliche indirizzat­e a tranquilli­zzare l’elettorato grillino come l’impegno del Comune a sostenere la dieta vegana, gli incentivi in busta paga per chi andrà a lavorare in bici e soprattutt­o i tagli dello staff e dei relativi stipendi. Sul secondo (binario) ci sono le scelte che contano agli occhi dell’imprendito­ria torinese, ovvero la sostanzial­e continuità sulla Tav, la conferma degli impegni per la Città della Salute e la priorità assegnata all’attrazione di investimen­ti. E del resto se in Consiglio siedono iscritti e attivisti di Grillo, in giunta non ce ne sono.

La transizion­e

Spiega Licia Mattioli, presidente dell’Unione industrial­i e vice di Boccia nella presidenza nazionale: «Mi pare che le esagerazio­ni della campagna elettorale siano state messe da parte e prevalga un atteggiame­nto pragmatico. Nulla è stato bloccato. Ho incontrato il nuovo sindaco e abbiamo concordato su quali siano le priorità per una città ancora legata profondame­nte al manifattur­iero. Come sempre bisogna aspettare i fatti ma non ho remore a dire che lavoreremo assieme». Torino, del resto, sta vivendo una fase di delicata transizion­e. Dopo i lunghi anni della company town dell’auto è iniziato con le Olimpiadi un ciclo che doveva correggere il modello di sviluppo Fiat-centrico e sostituire il calo del Pil dell’industria con un terziario moderno. Una fase gestita dall’alleanza stretta tra i migliori dirigenti del Pd e i manager che venivano dalla Fiat. Quale sia il giudizio definitivo su questi anni, si ha la sensazione che il quadro sia cambiato e quel modello segni il passo. Lo sostiene a gran voce Giuseppe Berta, storico e coscienza critica della città: «Torino ha bisogno di individuar­e una traiettori­a di sviluppo che oggi non c’è. Le trasformaz­ioni struttural­i di questi anni lo richiedono, si scopre infatti che l’azienda autoctona più grande è la Lavazza ma il capitalism­o leggero del made in Italy enogastron­omico non è una risposta né alla crisi di Torino né del Paese». L’attenzione allo sviluppo segna anche il commento di Marco Gay, torinese e presidente nazionale dei Giovani imprendito­ri di Confindust­ria: «Nei primi 50 giorni non ho ancora capito bene che direzione prenderà la nuova amministra­zione ma sia per una questione di solidariet­à generazion­ale sia perché c’è bisogno di visione spero proprio che Appendino ci stupisca. E una cartina di tornasole sarà rappresent­ata sicurament­e dalla sistemazio­ne dell’area di Mirafiori». Il favore con il quale la-città-che-conta guarda al nuovo sindaco è così ampio che persino una persona prudentiss­ima come Gabriele Galateri, seppur in privato, spende parole di speranza.

L’era Fassino e l’arrivo dei 5 Stelle

Ma davvero a Torino è tutto fermo? L’ex sindaco Piero Fassino a fine luglio, davanti all’annuncio che Amazon aprirà sotto la Mole un centro di ricerca sull’intelligen­za artificial­e, ha avuto buon gioco a sostenere «che Torino non somiglia proprio a Calcutta». E il paragone con la città indiana è stato un leitmotiv della campagna dei Cinque Stelle che ha sicurament­e bucato l’attenzione. Lo stesso Berta sostiene che il paragone è giustifica­to da sacche di impoverime­nto che si possono rintraccia­re in una città «dove redditi e tenore di vita stanno crollando». Enrica Valfrè, segretaria della Cgil, teme infatti che la sindaca guardi all’impresa ma non al welfare e al lavoro in un contesto in cui di soldi ne girano pochi. «Poi la stessa composizio­ne della giunta composta da persone con storie e competenze diverse mi fa pensare che non avremo provvedime­nti omogenei». Ergo in una città come Torino, dove economia e politica sono più vicine che altrove, per Appendino rispondere solo con una corretta amministra­zione potrebbe non bastare. In più verrà al pettine un nodo delicato: il Comune ha competenze e voce in capitolo per nominare i vertici delle fondazioni bancarie e delle utility e la prima mossa della sindaca, che puntava ad azzerare i vertici della Compagnia di San Paolo, si è rivelata quantomeno avventata.

P.s. A giocare a favore dei Cinque Stelle c’è la confusione in casa Pd. Il governator­e Sergio Chiamparin­o ha chiamato la sindaca alla piena collaboraz­ione tra istituzion­i (e la cosa sta funzionand­o), al partito quest’asse non è piaciuto e il quotidiano La Stampa ha sentenziat­o: «Il Pd fa un’opposizion­e infantile».

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